Una serie di sintomi ben riconoscibili, un progressivo peggioramento, nessun rimedio. Sembrano proprio le caratteristiche di una malattia incurabile. E invece è dell’invecchiamento che stiamo parlando. Un processo che abbiamo sempre considerato naturale e non patologico.
L’invito a cambiare prospettiva sulla terza età arriva da un nutrito gruppo di scienziati che ha presentato all’Organizzazione Mondiale della Sanità un curioso appello, pubblicato su Science e che suonerebbe più o meno così: smettiamo di considerare la vecchiaia una fase della vita, iniziamo piuttosto a definirla come una vera e propria malattia.
A prima vista la richiesta può sembrare bizzarra, ma non lo è affatto, i firmatari della proposta hanno le loro buone ragioni. Cerchiamo di comprenderle.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità aggiorna periodicamente l’elenco ufficiale delle malattie che esistono in tutto il mondo. Questo documento, chiamato International Classification of Disease (ICD), è utilizzato dalla comunità scientifica internazionale per diagnosticare e trattare le patologie, ma anche per comprendere le cause di morte nel mondo e per pianificare interventi di prevenzione.
Ogni patologia è associata a un codice. Ora, gli autori dell’appello vorrebbero che tutti disturbi o le malattie associate all’invecchiamento venissero classificate con il rispettivo codice.
Attualmente solo alcune di queste patologie sono inserite nella classifica dell’Oms. La sarcopenia, per esempio, ovvero la perdita di massa muscolare legata all’avanzare dell’età, è presente nel capitolo delle malattie muscolari con il codice FB32.Y.
In questo modo, la debolezza dei muscoli delle persone ove 65 non viene vista come una naturale conseguenza dell’invecchiamento, altrimenti non si troverebbe nell’elenco internazionale delle malattie, ma come una condizione che merita di essere trattata.
Il ragionamento degli scienziati, allora, non fa una piega: se ogni aspetto della vecchiaia venisse classificato come “patologico”, la scienza sarebbe invogliata a trovare soluzioni non tanto per curare, ma almeno per ridurre i sintomi.
È una questione logica: se non c’è la malattia, come fa a esserci la cura? Finché restano al di fuori della lista internazionale delle patologie, i disturbi associati all’invecchiamento hanno poche possibilità di venire risolti.
Insomma, se la vecchiaia non viene riconosciuta come una malattia, difficilmente potrà essere scoperto un farmaco anti-aging. Per avviare una sperimentazione clinica c’è bisogno di una malattia che possa essere diagnosticata e di un intervento che possa essere prescritto.
C’è bisogno in sostanza di un codice di riconoscimento, una sigla che legittimi gli scienziati a cercare rimedi in grado di migliorare la qualità di vita di chi è affetto da questa determinata condizione cronica, progressiva e invalidante che abbiamo cercato di “accettare” invece che di “contrastare”.
I firmatari dell’appello sperano che la loro richiesta sia accolta e che tutti i cambiamenti dell’organismo, dovuti all’invecchiamento, vengano inseriti nella nuova edizione della lista delle ICD prevista per gennaio 2022.
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