L’educazione musicale protratta per tutto l’arco di vita consente di rallentare il declino cognitivo che solitamente si manifesta con l’invecchiamento cerebrale
Ascoltare musica può inserirsi facilmente nella routine quotidiana, migliorando la qualità della nostra giornata. L’ascolto di una canzone infatti non è solo un mezzo di distrazione, ma può essere, nei senior e non solo, un momento importante per riavviare ad una percezione attenta e globale. L’ascolto musicale è un vero e proprio mezzo utile ad attivare le funzioni cerebrali, visto che si tratta di un’azione complessa che coinvolge non solo la componente affettiva della persona ma anche quella razionale. È dimostrato infatti che, con un atteggiamento prevalentemente dominato dall’emotività, può veicolare verso un netto aumento dell’attività cerebrale dell’emisfero di destra; mentre, un ascolto di tipo analitico-interpretativo, che si accompagna alla lettura dello spartito, produce un aumento della funzionalità nell’emisfero di sinistra.
Ma persino la stessa formazione musicale continua ha dimostrato un impatto sul processo di invecchiamento. L’istruzione musicale nei bambini migliora la memoria verbale significativamente rispetto a quelli che non l’hanno ricevuta. Infatti, più a lungo hanno studiato musica, meglio funziona la loro memoria.
Uno studio condotto dagli psicologi dell’Università Cinese di Hong Kong, ha dimostrato che gli studenti che avevano seguito le lezioni di musica erano in grado di ricordare un numero di parole significativamente superiore agli studenti che non avevano seguito le lezioni. L’effetto era tanto maggiore quanto più lunga era la durata degli studi musicali sostenuti. Per quello che riguarda la memoria visiva, invece, non si è osservata alcuna differenza sostanziale. Anche pochi anni di istruzione musicale possono migliorare la memoria verbale, grazie alla riorganizzazione di un’area corticale, cioè la regione temporale sinistra.
Ciò che accade è che lo studio della musica stimola la parte sinistra del cervello, cioè un’area che gestisce l’apprendimento verbale. Essere avvezzi alla musica durante l’arco della vita, ha un profondo effetto sul funzionamento del nostro sistema nervoso, come hanno dimostrato i ricercatori dell’Auditory Neuroscience Laboratory misurando le risposte automatiche del cervello di musicisti giovani e anziani e di non musicisti.
Hanno così scoperto che gli artisti più in là con gli anni presentano un vantaggio in termini di tempi neurali. Questo risultato sostiene anche la possibilità di allenare il cervello alla musica, compensando in parte la perdita di udito legata all’avanzare dell’età.
Quanto accade è in linea con una proprietà del nostro cervello, la cosiddetta plasticità cerebrale, ovvero la sua capacità di modificarsi: un’esperienza elaborata da una parte del cervello può modificare altre aree cerebrali. Si tratta di una risorsa fondamentale nella riabilitazione di pazienti con danni al cervello. A questo proposito, è stato dimostrato un ruolo significativo della musica come supporto all’età anziana in quelle situazioni dove i deficit connessi con l’invecchiamento appaiono tanto evidenti da richiedere una riabilitazione o un intervento terapeutico. Qualora il movimento fosse inficiato da traumi quali ictus o fratture, ad esempio, o l’utilizzo del linguaggio e/o della manualità fine venisse negativamente intaccato da patologie degenerative, la musica potrebbe fungere da “palestra di allenamento” per il recupero delle funzionalità perdute o comunque da supporto alle attività o cure medico-psicologiche.
Tutte le evidenze raccolte suggeriscono che un “allenamento mentale intensivo”, anche in tarda età, potrebbe migliorare l’elaborazione del linguaggio dei senior e le loro capacità di comunicare, anche in ambienti complessi e rumorosi, così come migliorare la capacità di compensare le perdite di memoria e le difficoltà nel sentire: due esperienze spesso comuni negli over.
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