I due organi hanno un legame molto più stretto di quanto si pensi. Una mente rilassata allevia lo stress e, di conseguenza, favorisce il corretto funzionamento del microbiota, una variegata popolazione di microrganismi che regola l’intestino
Dall’intestino al cervello. E ritorno. L’asse che collega i due organi è una strada a doppio senso, particolarmente trafficata, lungo la quale viaggiano senza sosta i segnali che vanno e vengono nelle due direzioni. Il microbiota intestinale, la miriade di microbi, batteri per lo più, che ospitiamo nell’intestino, influenza la salute cerebrale. Le sue alterazioni possono favorire la depressione, l’ansia, ma anche le malattie neurodegenerative come l’Alzheimer. Lo stesso accade nell’altro senso di marcia: il cervello può inviare messaggi che modificano, nel bene o nel male, la comunità di microrganismi intestinali aumentando o riducendo il rischio di alcune malattie. Si è scoperto, per esempio, che la meditazione profonda incide positivamente sulla composizione dei batteri dell’intestino migliorando così il benessere psicofisico di chi si dedica a questa attività. Secondo uno studio pubblicato su General Psychiatry, i monaci tibetani che praticano regolarmente la meditazione ospitano nel loro intestino una grande quantità di microbi associati a un minor rischio di ansia, di depressione e di malattie cardiache. I membri laici della stessa comunità che non meditano affatto, o lo fanno solo saltuariamente, non possono contare sulla stessa varietà di microrganismi benefici.
Ma è davvero così potente la nostra mente? Come è possibile che un’attività esclusivamente mentale, se non addirittura spirituale, permetta un provvidenziale “restyling” della comunità dei batteri intestinali? Ne abbiamo parlato con il professor Franco Scaldaferri, MD, PhD Gastroenterologist and Endoscopist CEMAD (Centro malattie apparato digerente), direttore UOS Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali, IBD UNIT Fondazione Policlinico A. Gemelli IRCCS, che da anni è impegnato nello studio del microbiota e del suo impatto sulla salute.
Professor Scaldaferri, quanto sappiamo sulla capacità del cervello di influenzare l’intestino? Il ruolo positivo della meditazione sul microbiota è per lei una novità?
Sappiamo già da tempo che l’asse intestino-cervello, il “gut-brain axis”, è bidirezionale. Il nostro team di ricerca ha recentemente pubblicato uno studio proprio sullo scambio reciproco di segnali tra i due organi. Abbiamo raccolto prove consistenti, per esempio, sul ruolo dello stress nelle malattie infiammatorie intestinali, come la colite ulcerosa o il morbo di Crohn, osservando che quando i pazienti sono sotto stress la malattia peggiora.
Ma, come insegnano i monaci tibetani, il cervello può avere anche effetti positivi sul microbiota…
Questa sembra una buona notizia. Lo studio presenta sicuramente alcuni limiti: il campione coinvolto è esiguo, solo 37 persone, e non vengono approfonditi altri fattori che avrebbero potuto influire sul risultato, come lo stile di vita e l’alimentazione. Ma si tratta di una ricerca interessante perché suggerisce un ruolo positivo della funzione cerebrale indicando che la meditazione è associata a un arricchimento del microbiota.
Ed è proprio l’arricchimento a portare benefici alla salute. È vero?
Sì, esattamente. La biodiversità del microbiota è l’obiettivo a cui dobbiamo tendere. La presenza di tante specie diverse è associata a condizioni di salute migliori. Usando un linguaggio specifico si parla di “eubiosi” e “disbiosi”. L’aumento della diversità e la presenza di alcune specie particolari di batteri sono fattori protettivi per la salute. Lo si nota nelle malattie intestinali o in generale nelle malattie autoimmuni. Quando c’è eubiosi i sintomi migliorano. Al contrario, in condizioni di disbiosi peggiorano.
Cambiamo prospettiva. Come fa l’intestino a influenzare la salute del cervello?
I batteri intestinali sono piccole cellule che si nutrono di quello che noi mangiamo che poi viene elaborato in sostanze chimiche, come acidi grassi a catena corta o neuromodulatori come i Gaba. Queste sostanze condizionano le cellule nervose presenti nell’intestino stesso innescando una catena di segnali che arriva fino al cervello. Così come i mediatori dello stress nel cervello producono segnali che vanno a cascata fino all’intestino, i batteri dell’intestino possono interagire con le cellule nervose e arrivare a influenzare la salute del cervello. Non è un caso che spesso le malattie neurodegenerative come l’Alzheimer sono associate a disbiosi del microbiota.
Come facciamo a sapere se il nostro microbiota è sano oppure no?
La comunità scientifica internazionale, con l’ospedale Gemelli tra i protagonisti, sta cercando di mettere a punto un test standardizzato per l’analisi del microbiota intestinale da utilizzare su larga scala sia per la prevenzione che per la cura di diverse patologie. In base al risultato, infatti, si può intervenire per correggere le eventuali alterazioni.
Nel frattempo cosa si può fare per mantenere “in forma” il microbiota?
L’alimentazione è il fattore più importante e la dieta mediterranea è senza dubbio la più indicata. Va ricordato poi che il microbiota può essere danneggiato dall’abuso di antibiotici o dall’utilizzo prolungato di alcuni farmaci, come gli inibitori di pompa protonica. Alcuni integratori possono invece avere un effetto positivo sul microbiota come i pre-biotici come inulina, Fos e Gos, che sono contenuti all’interno di frutta e verdura e nel latte materno. I pro-biotici, infine, possono essere usati per ricostituire il gruppo dei batteri sani che favoriscono il corretto funzionamento del sistema immunitario. Purtroppo, però, non esistono in commercio tutti i sostituti dei batteri mancanti.
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