Il processo creativo si sviluppa ed evolve solo quando ci si confronta con l’altro. Per alimentarlo dobbiamo abbandonare la nostra “comfort zone” ed iniziare a viaggiare. E guardare la realtà da una prospettiva diversa
Il concetto di creatività è sempre più indagato dall’antropologia contemporanea; negli ultimi anni ha preso forma una teoria della creatività culturale, che mette in luce come gli individui siano in grado di riformulare, rielaborare e trasformare concetti, pratiche e persino oggetti che fanno parte del loro quotidiano.
Come sostiene l’antropologo Adriano Favole, uno dei massimi esperti italiani sul tema, “la creatività culturale è il prodotto delle relazioni e delle connessioni, non dell’isolamento e men che meno della ricerca ossessiva dell’identità”. Il suo studio sulle capacità umane di rigenerarsi e ricostruirsi in relazione col mondo esterno è ben evidenziato nel libro Oceania, isole di creatività culturale, dove propone una rilettura delle idee più diffuse sull’Oceania e di quelle relative alla creatività, per creare una nuova comprensione di un luogo e di una “cultura altra”.
Quello della creatività è un tema enorme – spiega a 50&Più Marianna Zanetta, antropologa con dottorato di ricerca in Antropologia delle Religioni e Studi dell’Estremo Oriente – che si può definire in vari modi secondo il contesto. La creatività è insita all’interno delle culture, che non rimangono uguali a se stesse nel corso del tempo perché sono soggette a elementi trasformativi che dipendono da contesti storici, dalla creatività dei singoli appartenenti alla cultura e dalle interazioni con culture confinanti o con cui si viene a contatto. Sono elementi creativi tutti quelli che vengono introdotti, adattati o reinterpretati alla luce delle diverse necessità.
Com’è cambiato il concetto di creatività nel tempo?
La creatività è qualcosa che ha sempre caratterizzato la storia umana. Pensiamo alla cultura italiana: se solo consideriamo l’ultimo secolo, si è ampiamente modificata grazie a elementi di creatività. Teniamo conto che nel passato si riteneva che la creatività fosse prerogativa divina e che quindi l’uomo non potesse creare nulla. Proprio Adriano Favole ha ragionato sulla storia del concetto di creatività partendo dagli studi ottocenteschi che la legano allo spirito artistico e individuale, fino al concetto applicato alla società nel suo insieme di rigenerazione e mutabilità, che si sviluppa a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. In generale, ci sono due livelli di creatività: quella consapevole, e quindi artistica, intellettuale, politica, capace di indirizzare il corso della trasformazione, e quella innata, che si sviluppa grazie agli elementi che ci circondano. Un altro studioso, Francesco Remotti, ha dedicato gran parte della sua ricerca all’introduzione e definizione del concetto di “antropopoiesi” (da antropos=uomo e poiesis=costruirsi, ndr), che indica i vari processi di costruzione dell’identità umana.
Ci sono età più creative di altre?
Ci sono delle fasi della vita molto importanti, come i riti di passaggio, in cui si prende consapevolezza della creatività personale: per esempio, nella fase di crescita dal bambino all’adolescente, e poi dall’adolescenza all’età adulta, ci si sente guidati verso nuovi saperi e si svelano i meccanismi della propria cultura. Sicuramente, se consideriamo la creatività in senso più artistico e ottocentesco, l’infanzia è l’età in cui è più marcata, perché meno guidata da indicazioni sociali e connotazioni culturali di cosa si deve fare e come lo si deve fare. Meno si è vincolati ad una certa immagine del mondo e più si ha la libertà creativa. Se invece consideriamo la creatività indotta da esperienze di vita e da contesti sociali favorevoli alla conoscenza, ecco che anche in età adulta avremo momenti creativi molto importanti, che dallo sviluppo individuale favoriranno anche la dimensione sociale.
Il viaggio può essere un fattore che favorisce la creatività?
Il viaggio insegna ad abbandonare e scoprire, e la scoperta non può che favorire la creatività. Ci si allontana da quello che si conosce e ci si sposta in ambienti nuovi che possono essere spaventosi ma anche molto stimolanti, dove si impara a vivere tutto da capo: c’è un nuovo alfabeto, che sia la lingua, il cibo, persino il modo di entrare in una casa. Non solo il viaggio è un modo per conoscere l’altro, ma è anche strumento per capire meglio le dinamiche del proprio contesto attraverso il confronto, creando qualcosa di nuovo.
Spesso la creatività è stata studiata e definita come appannaggio di alcune società, come quelle occidentali, a scapito di altre più tradizionali e considerate immutate nel tempo e incapaci di evolversi: i nuovi studi ribaltano questo paradigma…
Questo approccio è frutto di un retaggio colonialista, quello che guarda alle altre culture come a realtà che non contemplano lo scorrere del tempo, che si trasformano solo perché arriva lo “straniero”. In realtà, in tutte le culture, anche nelle più lontane, si sviluppano anche moti interni perché il contatto è inevitabile; sono trasformazioni che non siamo abituati a vedere ma che esistono. Ogni incontro porta un cambiamento, ma non è solo grazie all’arrivo esterno che c’è un progresso. Le teorie contemporanee comunque guardano in un’altra direzione e considerano che tutte le culture esistenti oggi, sono esiti di trasformazioni di culture passate. E che si tratta di un processo creativo.
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