Può esistere una creatività “artificiale”, frutto di un’Intelligenza non umana? Da qualche tempo IA e algoritmi dipingono e creano “dal nulla” opere d’arte. E non fanno solo questo. Semplici imitatori o veri e propri artisti?
A guardarlo bene sembra il ritratto di un uomo dell’Ottocento. È evanescente, confuso. Per certi aspetti è forse un po’ inquietante. Il volto è sfumato, eppure esprime un certo fascino. Volendo potrebbe essere la copertina ideale per un libro di racconti di Poe. In calce al dipinto l’autore ha lasciato la sua firma. Non si tratta però del solito nome. Perché non ci sono lettere puntate o cartigli, ma… il codice di un algoritmo.
L’autore di Ritratto di Edmond Belamy – così si intitola l’opera -, infatti, non è un artista in carne e ossa. A realizzare questa stampa su tela, venduta per 432.500 dollari nel 2018 all’asta da Christie’s, è stata un’Intelligenza Artificiale. La cifra record a cui è stata battuta ha generato alcune domande: anche l’arte sarà presto appannaggio delle macchine? Saranno creative in un prossimo futuro?
Pensare e creare come una macchina
Per comprendere cosa voglia dire “creare” dal punto di vista di una macchina, bisogna partire da ciò che lo ha reso possibile. Alla base di questa creatività c’è il lavoro di un algoritmo di deep learning, cioè di “apprendimento profondo”, che funziona grazie ad un insieme di reti neurali artificiali organizzate in diversi strati. Ogni strato è in grado di calcolare i valori per quello successivo. Così l’informazione viene elaborata in modo sempre più completo.
Questo algoritmo-artista ha un nome: si chiama Gan, acronimo di Generative Adversarial Network. È con lui che in passato sono stati prodotti i cosiddetti video deepfake diffusi sul web, ma al di là di questa preoccupante capacità di combinare e sovrapporre immagini e video, sa creare opere d’arte. Parlare di unico “algoritmo”, però, è sbagliato visto che Gan ne utilizza ben due, in competizione fra di loro. Ai due algoritmi sono stati forniti a suo tempo centinaia di migliaia di immagini di opere d’arte per “addestrarsi”, conferendo loro due compiti opposti. Mentre il primo algoritmo, il “generatore”, crea immagini originali grazie al database, il secondo, il “discriminatore”, deve scoprire se quanto gli viene sottoposto è stato creato ex novo dal primo o se fa parte del database. La competizione termina quando il discriminatore non sa più discernere tra le opere usate per l’addestramento dai risultati ottenuti dal generatore.
Per arrivare al Ritratto di Edmond Belamy, Gan ha “fagocitato” un set di 15mila immagini, opere dipinte in un arco di tempo che va dal XIV al XX secolo. E partendo proprio da quelle, è riuscito a generare immagini poi riconosciute come opera dell’uomo.
L’Intelligenza Artificiale crea davvero arte originale o imita?
Ma è davvero corretto parlare di “arte” quando a generarla è un’Intelligenza Artificiale? Nel corso di vari esperimenti, infatti, è emerso che i ritratti erano i soggetti migliori per indurre gli algoritmi ad “imitare” la creatività umana. Ed è proprio questo il punto: imitare la creatività. Questo dimostrerebbe che l’Intelligenza Artificiale non è creativa, ma simula la creatività partendo da precedenti lavori dell’uomo. E a pensarci bene è proprio quello che facciamo noi esseri umani: non partiamo dal nulla, dalla tabula rasa per creare, ma al contrario rielaboriamo quanto prodotto sino ad oggi. Motivo per cui i database impiegati per “addestrare” gli algoritmi potrebbero essere assimilati all’influenza di generazioni di artisti.
Se anche gli algoritmi con cui sono state realizzate le opere restano un prodotto dell’uomo, l’Intelligenza Artificiale allora non è più un’artista, ma uno strumento degli artisti stessi per cercare nuove espressioni. Niente più di un bravo esecutore materiale della tecnica. Almeno per il momento. Nel futuro, vedremo.
Un articolo, un film, una canzone? Li creano gli algoritmi
Ma non è soltanto il settore dell’arte visiva appannaggio ormai dell’IA. C’è chi, ad esempio come Microsoft, ha insegnato agli algoritmi a funzionare nel settore giornalistico. Alcuni programmi sono capaci di scrivere articoli, creare titoli, scegliere e inserire immagini. Così come ne esistono altri in grado di scrivere come un determinato autore dopo averne analizzato l’intera opera.
Anche il cinema ha attraversato, già nel 2016, la sua piccola rivoluzione grazie a Sunspring di Oscar Sharp. La sceneggiatura di questo corto fantascientifico è stata scritta infatti da una rete neurale (che imita il funzionamento della mente umana) dopo che era stata alimentata da centinaia di trame del genere.
Nel settore musicale – forse quello più carico di aspettative per certi aspetti – la Warner Music ha firmato per la prima volta nel 2019 un contratto discografico proprio con un algoritmo. Anche in questo caso c’è stato un training costante, per aiutarlo a creare da zero una canzone o una composizione nello stile che aveva appreso.
Negli anni ’50 Alan Turing, matematico e pioniere dell’Informatica, si chiedeva già se le macchine sapessero pensare. Oggi non solo sanno pensare grazie agli algoritmi, ma probabilmente a breve sapranno anche “immaginare”. Un elemento che potrebbe rendere l’Intelligenza Artificiale davvero creativa.
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