Posti di lavoro, brevetti, sviluppo normativo-politico dati e risultati nello studio della Stanford University
Fino a poco tempo fa guardata con sospetto, l’intelligenza artificiale è oggi una realtà che sta modificando il nostro modo di vivere e lavorare. Pur permanendo dubbi e interrogativi, come le implicazioni etiche e i potenziali rischi legati al suo utilizzo, l’impiego di questa super tecnologia sta subendo una veloce evoluzione.
Un quadro chiaro e autorevole della situazione lo fornisce l’Artificial Intelligence Index Report 2024, elaborato dall’Human-Centered Artificial Intelligence Institute della Stanford University che, analizzando il contesto mondiale, rende una panoramica sulle principali tendenze degli ambiti in cui l’IA si è maggiormente distinta rispetto all’uomo: classificazione delle immagini, ragionamento visivo e comprensione dalla lingua inglese. Continua tuttavia a vacillare in settori più complessi, come la matematica di massimo livello, il ragionamento visivo basato sul ‘buon senso’ e la pianificazione.
Rispetto ai ‘guadagni’ derivanti dall’utilizzo dell’intelligenza artificiale, la Cina si piazza al primo posto con risultati eccellenti, grazie a una solida politica di investimenti e ad un parallelo lavoro sulle risorse umane. A seguire, in netto stacco, l’America settentrionale. L’Europa, invece, divisa tra Sud e Nord, si piazza rispettivamente al terzo e quinto posto, intervallate dall’India ‘sviluppata’, al quarto posto.
Il panorama degli investimenti è decisamente dominato dagli Stati Uniti che, nel 2023, hanno raggiunto i 67,2 miliardi di dollari, con uno stacco di circa 8,7 volte rispetto alla Cina. Tuttavia, a fronte di questo importante risultato, gli Usa registrano un calo dei posti di lavoro che dal 2% iniziale scende all’1,6%. L’IA, inoltre, sta di fatto contribuendo a ridurre i costi e ad aumentare i ricavi per le aziende. Diminuiscono anche gli investimenti complessivi nel settore, ma le nuove aziende finanziate aumentano del 40,6%, così come cresce il numero delle organizzazioni che utilizzano l’intelligenza artificiale almeno in parte (55%).
In calo anche la quota di brevetti made in Usa (20,9%), ambito in cui il primato spetta alla Cina (61,1%) che cresce anche nella robotica industriale.
La rapida evoluzione dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale sta conducendo inevitabilmente a un significativo sviluppo normativo-politico. Negli Stati Uniti, il numero di regolamentazioni è passato da una nel 2016 a 25 nel 2023, registrando una crescita del 56,3% solo nell’ultimo anno. Anche l’Unione europea ha avanzato proposte di rilievo per promuoverne la regolamentazione, con la firma di un ordine esecutivo sul tema da parte dell’attuale presidente statunitense e l’approvazione dell’IA Act nell’Unione europea nel 2024. L’attenzione dei legislatori cresce anche a livello internazionale, con un raddoppio nel 2023 delle menzioni nei procedimenti legislativi da parte di 49 paesi.
Ovviamente l’adozione dell’intelligenza artificiale nelle piccole e medie imprese rappresenta una mossa strategica cruciale anche per l’Italia, data la loro centralità nell’economia del paese. Tuttavia, molti imprenditori italiani assumono una posizione piuttosto ‘prudente’ in tema di investimenti in tecnologie avanzate, tendenza spesso dovuta a limitazioni di budget, di risorse e a una generale carenza di competenze interne specifiche. Non si tratta però di un rifiuto all’innovazione, ma di una cauta valutazione del ritorno sull’investimento e dell’impatto operativo.
Un fattore chiave in questo processo è rappresentato dalle associazioni di categoria e dei distretti industriali, che possono svolgere un ruolo essenziale nel fornire una piattaforma condivisa per la formazione e l’acquisizione collettiva di tecnologie. Un approccio collaborativo può aiutare a superare le barriere economiche, permettendo anche alle piccole imprese di esplorare l’utilizzo dell’IA, una condizione che tuttavia necessita di una maggiore apertura verso la condivisione delle risorse e delle competenze.
Indiscutibilmente rilevante anche il sostegno dato da banche e istituti finanziari, ai quali però si chiede di non limitarsi alla sola erogazione di finanziamenti mirati. È infatti indispensabile fornire anche un’offerta formativa finanziaria specifica per l’intelligenza artificiale, allo scopo di guidare gli imprenditori nella comprensione delle modalità e dei tempi di investimento in queste tecnologie. Le università e i centri di ricerca italiani, peraltro già operativi nell’avanzamento dell’IA, possono anch’essi ampliare il loro impatto, ad esempio attraverso partnership più attive con le imprese.
In sostanza, una visione strategica condivisa si rivela fondamentale per il successo dell’integrazione dell’intelligenza artificiale, e ciò include un aggiornamento costante dei curricula in ambito educativo e la creazione di politiche efficaci che semplifichino l’adozione di soluzioni. La collaborazione tra governo, imprese e istituzioni educative si rivela così per preparare le nuove generazioni e per integrare l’IA nel rispetto dei valori e delle esigenze della società italiana e non solo. Un percorso che richiede un approccio personalizzato, dove la cooperazione tra associazioni di categoria, istituti finanziari, università e settore pubblico rappresenta un fattore indispensabile per affrontare questa transizione. È necessario armonizzare le tecnologie emergenti con le effettive esigenze di mercato, assicurando che l’innovazione conduca a vantaggi oggettivi e sostenga la crescita dell’economia.
L’impiego dell’intelligenza artificiale apre dunque a nuovi e importanti scenari di efficienza. È indispensabile, però, imporsi anche una riflessione accurata sui potenziali impatti sociali ed etici che ne derivano, affinché l’evoluzione dell’IA sia equilibrata e inclusiva, e porti benefici a lungo termine alle aziende e alla società intera.
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