Senso di precarietà, ansia e paura, questo è ciò che provano i ragazzi oggi. L’isolamento subìto durante la pandemia e, ora, i timori per la guerra, li stanno spingendo verso una vera e propria forma di ritiro sociale. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Federica Seravelli, psicologa e psicoterapeuta
«Ciò che caratterizza gli adolescenti, in questo momento, è il senso di precarietà. Questa generazione di giovanissimi – che definiamo “Generazione Covid” – si è misurata presto col senso di precarietà, ora acuito dalla questione della guerra, che li sta mettendo ancora più in crisi. Non fanno che chiedermi: “Federica, hai visto che è scoppiata la guerra?”, “Federica, ora che facciamo?”».
Inizia così il nostro colloquio con la dottoressa Federica Seravelli, psicologa, psicoterapeuta che, da oltre vent’anni, si occupa appunto di adolescenti.
Quanto è difficile, dottoressa, essere adolescenti nella società odierna?
Lo stress è sicuramente aumentato per tutti, ma gli adolescenti sono stati i più esposti. In primis perché hanno subìto maggiormente l’isolamento. A differenza dei bambini, che sono tornati a scuola prima, i ragazzi delle superiori hanno dovuto proseguire la didattica a distanza per ragioni legate alla pandemia. Quindi, in assenza di una normale frequenza scolastica e di opportunità di socializzazione, sono andati persi gli ammortizzatori dello stress poiché sono mancate le relazioni positive, il contesto educativo che, comunque, per loro, ha una valenza positiva.
Questo cosa ha comportato?
Che si sono bloccati nel loro processo evolutivo, quando invece l’adolescenza è proprio la fase in cui ci si sperimenta nel mondo. Quando siamo bambini, infatti, rimaniamo nel contesto familiare; quando diventiamo adolescenti, invece, dobbiamo uscire, confrontarci con i pari, con le regole che ci sono all’esterno.
Aver perso questa possibilità già da due anni, cosa ha causato?
L’isolamento, dietro ai loro smartphone, dietro ai loro computer. Stiamo registrando un vero e proprio ritiro sociale. I ragazzi dei quali mi occupo erano sicuramente esposti anche prima a fattori di rischio come ansia, depressione, e magari avevano storie familiari un po’ complesse, ma di certo la pandemia ha contribuito ad aggravare tale sintomatologia. Questi ragazzi, che non possono vivere nella realtà delle loro relazioni, si vedono preclusa anche l’opportunità di sperimentarsi con il proprio corpo, e rimangono da soli, concentrati soltanto sulle loro paure. Inoltre, si stanno confrontando con un mondo che è pericoloso, perché hanno a che fare con la malattia e la morte: ricorderete tutti le immagini dei camion che portavano via i corpi all’inizio della pandemia… Un dato allarmante è che sono aumentati tantissimo i comportamenti di autolesionismo e, purtroppo, anche i tentativi di suicidio.
Quando accenna all’autolesionismo, cosa intende esattamente? Cosa si procurano?
Sono adolescenti che, per esempio, nella forma più frequente si tagliano: sulle braccia, sulle gambe. Tagli che rappresentano anche una richiesta di aiuto perché sono visibili. Mi raccontano che lo fanno per pensare a qualcos’altro, perché hanno la testa piena di pensieri negativi (“non sono capace”, “non so che cosa farò”, “la vita fa schifo”, “è meglio morire”). Allora, per distrarsi, si tagliano, perché quel dolore che sentono sulla pelle li allontana da ciò che provano interiormente.
Quindi cos’è che è venuta meno per loro: la speranza, la progettualità?
L’adolescenza è prima di tutto il periodo della spensieratezza, ma anche della proiezione verso il futuro, un momento in cui ci si sente un po’ onnipotenti. Gli adolescenti di oggi – tra crisi economica, pandemia e, adesso, anche la guerra – non possono sentirsi tali; per un lungo periodo non sono potuti uscire e ora pensano addirittura ai bombardamenti.
Che parole usate per rassicurarli, per porre un argine alla loro comprensibile ansia?
Lavoriamo sul concetto di resilienza, comunicando loro che dalle crisi si può uscire. In questo contesto così delicato, riportiamo loro esperienze del passato, di come abbiamo superato guerre mondiali e altre pandemie. Io, ad esempio, racconto sempre ai ragazzi di come mia nonna – una donna degli inizi del ’900 – avesse vissuto la pandemia di spagnola.
In generale l’adolescenza è un momento difficile…
È un periodo che noi definiamo “di lutto” perché bisogna abbandonare l’infanzia per entrare nell’età adulta. Anche fisicamente, perché il corpo di un adolescente è in trasformazione. Il fatto che oggi i ragazzi possano confrontarsi poco tra di loro – per via appunto dell’isolamento dovuto alla pandemia – ha reso ancora più difficile accettare questo cambiamento. Non a caso, i disturbi alimentari sono sempre più diffusi e crescono anche tra i maschi.
Che prospettive vede per questi giovani?
Complicate. Sarà grande la responsabilità – anche per noi esperti nel campo – di capire e saper aiutare. Per questo motivo, invito i genitori ad osservare e ascoltare i propri figli, e a chiedere aiuto quando si rendono conto che la situazione sta sfuggendo di mano. Un adolescente particolarmente isolato, ad esempio, deve mettere in allarme. È importante che i genitori – ma anche i nonni – facciano caso a questi specifici segnali.
© Riproduzione riservata