Finora non aveva mai saltato l’appuntamento annuale. Si è sempre presentata puntualmente a fine autunno per togliere il disturbo all’inizio della primavera. Ma quest’anno l’influenza, almeno per ora, non si è vista. Che fine ha fatto? Secondo gli esperti le misure di contenimento della pandemia, l’uso di mascherine, l’igiene delle mani, il distanziamento sociale, la limitazione degli spostamenti hanno impedito la circolazione del virus stagionale. Perché Sars-Cov-2, il virus responsabile di Covid-19, e il virus influenzale hanno lo stesso meccanismo di trasmissione. Le strategie per bloccare il primo funzionano anche sul secondo. Il che da una parte è un bene, dall’altra un male.
I due lati della medaglia
La buona notizia è che la tanto temuta sovrapposizione delle due infezioni, influenza e Covid-19 (un fenomeno che gli epidemiologi chiamano sindemia), non si è verificata.
Ma ci sono anche i contro. Se i virus influenzali non circolano il sistema immunitario non sviluppa le difese contro le future varianti che possono manifestarsi in maniera più aggressiva. Non solo: se i virus stagionali non si diffondono diventa difficile individuare i ceppi prevalenti che diventano il bersaglio del vaccino annuale successivo. Potrebbe cioè essere complicato mettere a punto un vaccino antinfluenzale efficace per la prossima stagione 2021-2022.
C’era una volta l’influenza
L’Organizzazione Mondiale della Sanità, basandosi sui dati della sorveglianza dello scorso mese, sostiene che i casi di influenza dell’attuale stagione invernale nell’emisfero settentrionale sono paragonabili a quelli registrati nel periodo estivo. Ossia pochissimi. I laboratori statunitensi hanno contato 925 test positivi all’influenza dalla fine di settembre 2020 a oggi in confronto ai 64mila dello stesso periodo dell’anno precedente (stagione influenzale 2019-2020).
«È pazzesco – ha dichiarato al Washington Post Lynnette Brammer, che guida il team di sorveglianza dell’influenza dei Centers for Disease Control and Prevention degli Usa – Questa è la mia trentesima stagione influenzale. Non mi sarei mai aspettata di vedere un’attività influenzale così bassa».
Anche in Italia la rete di controllo dell’Istituto Sanitario nazionale registra una circolazione ancora ben al di sotto del livello medio degli inverni precedenti. Nel nostro Paese l’incidenza dell’influenza è attualmente sotto la soglia di 1,4 casi per mille assistiti. L’anno scorso era 6,6. Con queste premesse sembra difficile, anche se non si può escluderlo del tutto, che tra gennaio e febbraio si raggiunga il picco di contagi a cui eravamo abituati in passato.
In parte la comparsa in sordina dell’influenza potrebbe dipendere da un aumento delle vaccinazioni che si è registrato un po’ in tutti i Paesi. Ma gli scienziati sostengono che l’incremento dei vaccinati non non è tale da giustificare un così basso numero di contagiati.
Il mondo come laboratorio
La pandemia di Covid-19 è un’occasione irripetibile (almeno si spera) per gli scienziati. È la prima volta infatti che si ha la possibilità di valutare su così larga scala l’impatto dell’adozione delle misure di contenimento sulla diffusione dei virus, non solo su Sars-Cov-2.
Dai dati raccolti finora sembra proprio che il pacchetto completo di strategie di protezione dal contagio – mascherine, igiene, distanziamento e limitazione degli spostamenti – riducano notevolmente la circolazione di tutti i virus, non solo di quello pandemico.
Nell’emisfero meridionale nella passata stagione invernale, da aprile a luglio 2020, il virus dell’influenza si è fatto vedere poco o niente. In Australia su 60mila test effettuati solo 33 sono risultati positivi al virus stagionale. In Cile 12 su 21mila e in Sud Africa l’influenza ha colpito 6 persone su 2.100 sottoposte al controllo. Al di sotto dell’equatore lo scorso inverno c’è stato un tasso di positivi all’influenza pari allo 0,06%. Nello stesso periodo del 2018-2019 la percentuale di contagiati dal virus influenzale era del 13%.
Mascherine, mai più senza?
Come ci comporteremo in futuro? La minaccia di Covid-19 si attenuerà nei futuri inverni, ma le misure di protezione dal contagio potrebbero persistere. Lo ha affermato Benjamin Singer, medico di terapia polmonare e di terapia intensiva presso la Northwestern University: «Quando iniziamo a pensare a tutte le infezioni respiratorie, Covid, più l’influenza, più gli altri virus, negli Stati Uniti e in Occidente inizieremo a pensare di più a indossare maschere in pubblico nei mesi invernali? È un tipo di domanda sociologica interessante: come sarà influenzato il nostro comportamento dalla nostra esperienza con Covid?».
© Riproduzione riservata