Si comincia con il personale sanitario, poi si passa agli anziani, poi a tutti gli altri. In linea di massima i piani vaccinali anti-Covid hanno rispettato ovunque le stesse priorità. Subito dopo i medici, gli anziani.
Non è un caso che la prima persona vaccinata al mondo (con il vaccino di Pfizer-BioNTech) sia stata una signora di 91 anni -Margaret Keenan, nel Regno Unito – a dimostrazione che sono proprio loro, i senior, quelli più bisognosi di protezione.
Ma l’Indonesia è andata controcorrente. Le prime dosi dei vaccini non sono state destinate agli anziani ma ai giovani, o meglio agli adulti tra i 18 e i 59 anni. Il presidente del Paese asiatico, Joko Widodo, 59 anni, è stato il primo cittadino a ricevere l’immunizzazione. Il vicepresidente Ma’ruf Amin, 77 anni, che per ragioni anagrafiche non rientra tra le priorità dovrà invece attendere il suo turno.
Perché prima i giovani?
La strategia indonesiana non è stata improvvisata senza un criterio. È stata suggerita da un comitato scientifico formato da esperti e istituito, come in tutti i Paesi del mondo, per affrontare l’emergenza sanitaria. Secondo gli scienziati dare la priorità alle persone in età lavorativa è più ragionevole: perché sono queste ad avere maggiori possibilità di diffondere il virus. L’idea, insolla, è impedire che un ragazzo di 25 anni – che passa la giornata in giro per lavoro – rischi di contagiare i propri famigliari, genitori e nonni, tornando a casa la sera.
Così facendo il governo indonesiano spera di raggiungere l’obiettivo che darebbe una svolta all’epidemia: la tanto agognata immunità di gregge. Vaccinando i giovani, si spera quindi di bloccare la circolazione del virus e di impedire di riflesso che si ammalino gli anziani non vaccinati. Le persone più grandi verrebbero perciò protette in maniera indiretta.
Proteggere i giovani per proteggere gli anziani. Funziona?
La mossa dell’Indonesia è spiazzante. Ma è una buona idea? Intanto bisogna specificare che le ipotesi del comitato scientifico indonesiano si basano sulle condizioni specifiche di quel Paese e che, anche se fossero valide, lo sarebbero solo in quel contesto e non in altri. Il problema è che, secondo la maggior parte degli scienziati, la strada intrapresa dall’Indonesia è destinata a fallire anche per l’Indonesia stessa.
Il Paese asiatico con una popolazione di 270 milioni di abitanti ospita il più alto numero di casi del Sud-Est asiatico. Secondo i dati epidemiologici l’80% dei contagi avviene tra i lavoratori che hanno per lo più occupazioni manuali difficilmente convertibili in smart working.
Un Paese in via di sviluppo come l’Indonesia, con un’economia basata per lo più sul lavoro fisico che può essere svolto solo “in presenza”, non può invitare la popolazione giovane a stare a casa per limitare la circolazione del virus come accade nei Paesi occidentali, compreso il nostro. Ecco perché il governo indonesiano ha preferito vaccinare prima chi trasmette di più il virus, piuttosto che chi si ammala più gravemente.
Non c’è un intento discriminatorio nella scelta. Budi Gunadi Sadikin, il Ministro della Salute, ha respinto le accuse di ageismo. I giovani vengono vaccinati prima non perché il loro contributo alla società sia più importante ma proprio per proteggere meglio gli anziani. «Ci stiamo concentrando sulle persone che per il loro lavoro entrano in contatto con molte altre persone, i moto-taxi, la polizia, i militari. Quindi, non voglio che la gente pensi che si tratti solo di economia. Si tratta di proteggere le persone», ha dichiarato il Ministro alla BBC.
Le critiche della comunità scientifica
Le intenzioni possono anche essere buone, ma secondo la maggior parte degli scienziati nel mondo il piano vaccinale indonesiano non sta in piedi.
Il vaccino adottato in Indonesia è il vaccino cinese Sinovac dell’azienda CoronaVac che ha un tasso di efficacia del 65,3% o forse anche più basso. Per raggiungere l’immunità di gregge bisognerebbe vaccinare un numero enorme di persone, ma il Paese non dispone per il momento di così tante dosi. Inoltre, l’ipotesi che il vaccino assicuri l’immunità di gregge è ancora tutta da verificare. Quel che sappiamo finora è che il vaccino impedisce alle persone di ammalarsi ma non è detto che impedisca il contagio e la trasmissione del virus.
Le persone vaccinate potrebbero cioè continuare a portare il virus in casa e trasmetterlo ai loro famigliari più anziani. C’è il rischio quindi che le persone più fragili continuino a essere colpite dal virus esattamente come prima.
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