L’indennità di accompagnamento va riconosciuta anche nel caso di errori formali nella domanda inviata. Lo dice una recente sentenza della Corte di Cassazione nei confronti di un ricorso dell’Inps.
L’assegno di accompagnamento spetta solo ai titolari di pensione di inabilità ordinaria o privilegiata. L’inabilità deve essere pari al 100%. Ma questo requisito da solo non è sufficiente. Non basta cioè avere un’invalidità totale. Occorre un’ulteriore condizione che renda necessario l’accompagnatore. Essa può consistere alternativamente nella impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o nell’impossibilità di compiere gli atti quotidiani della vita senza assistenza continua.
L’impossibilità di deambulare richiama problemi di carattere fisico e motorio (si pensi a una persona anziana e paralizzata da un ictus). Il secondo requisito, invece, apre la porta anche a patologie psichiche o, comunque, non strettamente attinenti alla sfera motoria (si pensi a persona affetta da grave Alzheimer o da una forma di demenza).
Per ottenere l’assegno di accompagnamento l’interessato deve presentare una domanda presso l’Inps, corredata dalla documentazione idonea a provare il possesso dei requisiti per il riconoscimento del relativo diritto.
Per ottenere la prestazione è necessario il riconoscimento della minorazione, previo accertamento medico legale e rilascio del verbale sanitario. Bisogna, quindi, rivolgersi innanzitutto al medico di famiglia e chiedere il rilascio di certificato medico introduttivo con il codice univoco allegato. Questo codice va inserito nella domanda di accertamento sanitario da inoltrare all’Inps.
Ottenuto il certificato medico introduttivo e il codice allegato, bisogna presentare la domanda all’Inps in modalità online attraverso il servizio “Invalidità civile – Procedure per l’accertamento del requisito sanitario (InvCiv2010)”.
Ma che succede in caso di errori di compilazione nella domanda di accompagnamento? La Cassazione ha precisato – coerentemente con i propri stessi precedenti – che l’Inps non può negare l’indennità di accompagnamento per errori nella domanda, trattandosi di violazioni formalistiche e non della sostanza del diritto.
Infatti, a distanza di poco meno di due mesi dal primo, epocale, provvedimento (Sentenza n° 14412/2019), la Suprema Corte torna nuovamente a pronunciarsi sull’annosa questione del diritto all’indennità di accompagnamento nel caso in cui il medico curante non abbia barrato una o entrambi le voci di non autonomia nell’invio del certificato telematico.
Con ordinanza n. 19724 del 22 luglio 2019, la Corte di Cassazione ha affermato che l’istanza di accompagnamento presentata all’Inps non può essere respinta per un vizio formale.
Secondo la Suprema Corte, con riguardo alle prestazioni previdenziali ed assistenziali, è sufficiente che la domanda consenta di individuare la prestazione richiesta perché la procedura amministrativa segua il suo normale iter.
La suprema Corte di Cassazione, con ordinanza del 22 luglio 2019, n. 19724, respinge il ricorso presentato dall’Inps contro la sentenza del giudice di merito che aveva ritenuto spettante l’indennità di accompagnamento, sebbene avesse accertato che il certificato medico allegato alla domanda proposta in via amministrativa non conteneva l’indicazione espressa dell’impossibilità dell’istante di deambulare autonomamente e di svolgere gli atti quotidiani della vita senza l’assistenza continua.
L’importo dell’assegno
L’assegno di accompagnamento per il 2019 è stabilito in 517,84 €. L’indennità non viene tassata e non concorre alla formazione del reddito. Inoltre, non è reversibile ai superstiti in quanto riconosciuta al “solo titolo della minorazione“. Infine, viene concessa a prescindere dal requisito reddituale personale, coniugale o familiare del beneficiario.
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Paolo Daprelà, Filomena Ianni, Mauro Torciano, Daniela Toschetti.
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