I giovani e i vecchi, i giovani contro i vecchi, i vecchi contro i giovani. Un copione decrepito. Una commedia che va in scena sempre più stancamente. Eppure continua.
Quando ero giovane io, e vi parlo della seconda metà del secolo scorso, quando ero giovane io, dicevo, il conflitto generazionale era una faccenda seria: fra noi e i nostri genitori c’era stata la cesura drammatica di una guerra mondiale, la Seconda. Le guerre accelerano il cambiamento. Io mi vestivo in modo diverso da mia madre, odiavo gli abiti che mi proponeva, non ascoltavo la stessa musica, non credevo nello stesso sistema di valori, mi rifiutavo di eseguire i compiti che mi proponeva. Odiavo la buona educazione, l’ipocrisia, il rispetto per i soldi, per il risparmio e per tutte le virtù domestiche che una “signorina per bene”, avrebbe dovuto imparare. Mi rendeva furiosa che le donne dipendessero dai padri e dai fratelli e poi dai fidanzati e dai mariti. Che il codice penale prevedesse il reato di adulterio, punibile con la reclusione, soltanto per le mogli. Mi indignava tutto il mondo di prima, prima del Sessantotto, con le sue ingiustizie e le sue regole e le sue leggi… Arrivare illibate al matrimonio. E perché? Una donna deve diventare madre perché se no non è completa. E chi l’ha detto? I ricchi sono sempre più ricchi e gli operai non arrivano alla fine del mese. Inaccettabile.
Noi giovani si fantasticava su un altro mondo possibile, mentre loro adulti si godevano tutte i regali del benessere: la lavatrice e la televisione, l’aspirapolvere e l’automobile. Mio padre aveva una millecento blu. Si andava in gita la domenica. Io odiavo le gite della domenica. Con mamma e papà. Il mondo dei giovani e quello degli adulti non avevano niente in comune, non comunicavano. Si guardavano in cagnesco e ciascuno proiettava sull’età dell’altro, un film scadente, pieno di stereotipi.
Noi per gli adulti eravamo: sporchi nei capelli troppo lunghi i maschi. Ribelli e poco serie nelle loro gonne troppo corte le femmine.
Gli adulti per noi erano: consumisti, ipocriti, vigliacchi, indifferenti e opportunisti.
Erano gli anni dell’opulenza e perfino una ragazzina scappata via da casa a 19 anni come me trovava lavoro e riusciva a mantenersi, nel lusso estremo della libertà. Oggi non è più cosi. Difficile andartene di casa senza l’aiuto economico della famiglia da cui, potendo, forse vorresti anche tu scappare.
Costava 18mila lire al mese la bella soffitta in cui viveva la prima di noi che mollò la famiglia.
Mi pareva una reggia.
18mila lire: circa 9 euro.
Adesso, a Roma e a Milano, non ti bastano 500 euro per una stanza in casa d’altri e, se vuoi stare da sola in una casa tutta tua, andiamo verso gli ottocento, i mille.
E chi li ha?
Un lavoro per essere economicamente indipendente è difficile trovarlo.
Dicono che i giovani sono “choosy”, smorfiosi principini che non si prestano a lavori umili o pesanti. Non è così. I lavori cosiddetti umili sono mal pagati e precari. I lavori più qualificati sono altrettanto mal pagati e altrettanto precari. Il mondo della cultura e dell’arte rigurgita di intelligenze sottovalutate e sfruttate.
Precario e miserabile tutto il comparto della creatività. Il sottotesto è atroce: “Ma come? Ti diverti con l’arte e il cinema e vuoi anche essere pagata?”. Se sei giovane e non sei un calciatore o una top model, devi ricorrere alla famiglia per qualsiasi emergenza, non resta proprio spazio per litigare. A ogni urto di nervi, a ogni bisticcio, rischi di restare senza un soldo.
Per avere una casa tua devi aspettare che muoia nonna e sperare che su quel “due camere e cucina” non ci abbia già messo gli occhi tuo padre che vuol comprarsi una Kawasaki 1000 e fare il giro della Sardegna in motocicletta con la sua nuova fidanzata ventottenne (è successo, non sto inventando). Il fatto è che gli adulti non sono più quelli di una volta. Non smettono di inseguire viaggi, amori e divertimento.
Sentono la stessa musica dei loro figli. Si vestono nello stesso modo.
Sprecano soldi che non hanno. Non credono più nel sacrificio, nel risparmio, nel Paradiso. E nemmeno nel Sol dell’Avvenir. Credono soltanto in se stessi e, se la vita è andata male e non hanno avuto le soddisfazioni che speravano, è colpa degli altri, di qualche lobby occulta, di qualche pianeta che si è messo per traverso. Spesso non sono più saggi dei loro figli, i padri e le madri.
Infatti non li criticano mai, li difendono contro i professori, li sostengono contro la legge se ne combinano una grossa. C’è ancora, la guerra fra generazioni?
No. I giovani scelgono il silenzio.
Si isolano.
Gli adulti concentrano tutti i loro sforzi nel progetto di sembrare giovani.
La salvezza viene dai nonni: dai nipoti li dividono due generazioni. Sono loro, loro nonni, che nella seconda metà del secolo scorso hanno glorificato la giovinezza, ne hanno decretato la natura rivoluzionaria e la vocazione al cambiamento. I nonni sono ex ragazzi ribelli.
Con loro, spesso, i nipotini parlano. Più spesso ancora ascoltano, divertiti dalle costanti (tutte le giovinezze si somigliano, attraverso i secoli) e dalle variabili storiche: il boom economico e demografico, di cui abbiamo goduto dal 1946 alla fine degli anni Sessanta, contro la crescita zero che rende la nostra società sempre più vecchia.
Tuttavia, e in modo palese, c’è chi soffia sul fuoco e prova a rovinare l’idillio fra gli under 20 e gli over 60: saremmo noi vecchi, sani, allegri e longevi, a coprire tutto lo spazio che, ci decidessimo a morire, metterebbe fine al calvario dei ragazzi e delle ragazze, darebbe loro soldi gloria e stabilità.
Peccato che non sia vero.
In una società sana c’è posto per tutti.
Noi vecchi ci inventiamo ogni giorno la vita, campiamo con una pensione guadagnata nel nostro passato di lavoratori (io non ce l’ho, ma nessuno mi obbliga a smettere di scrivere romanzi), quando possiamo aiutiamo figli e nipoti.
Senza farci pregare. E per amore.
Lidia Ravera è nata a Torino. Giornalista, sceneggiatrice e scrittrice, ha pubblicato trenta opere di narrativa tra cui “Porci con le ali” (Bompiani 1976), “Sorelle” (Rizzoli 1994), “L’eterna ragazza” (Rizzoli 2006), “La guerra dei figli” (Garzanti 2009) e “A Stromboli” (Laterza 2010). Gli ultimi romanzi “Piangi pure”, “Gli scaduti”, “Il terzo tempo”, “Avanti, parla” sono nel catalogo Bompiani. Ha lavorato per il cinema, il teatro e la televisione.
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