Il “terreno di battaglia” degli ecologisti si sposta su un nuovo piano, con azioni e dimostrazioni forti e spesso impopolari. Ma sono disposti a tutto pur di rendere pubblico il problema ambientale.
Teppisti, vandali, “gretini”, nella migliore delle ipotesi. È così che la maggior parte dell’opinione pubblica considera i nuovi attivisti climatici: giovani, giovanissimi, che in ogni parte del mondo organizzano blitz e proteste in nome dell’ambiente.
Azioni come scalare gli ottantaquattro metri del ponte Elisabeth II a Londra, bloccare decine di strade con le mani incollate sull’asfalto, spruzzare vernice arancione sui vetri di una concessionaria Aston Martin.
Fin qui sembravano bravate fastidiose ma “innocue”, poi però è cominciata l’escalation e alcune di queste proteste hanno fatto il giro del mondo: il lancio della zuppa sul vetro che protegge i Girasoli di Vincent Van Gogh alla National Gallery di Londra, la torta sulla statua di cera di Re Carlo III al Madame Tussauds, e poi la salsa di pomodoro sulla Ragazza con l’orecchino di perla di Vermeer, il purè di patate contro Les Meules di Monet, il passato di verdure lanciato su Il Seminatore di Van Gogh in mostra nella Capitale.
Praticamente ogni giorno è segnato da un’azione del movimento Just Stop Oil, una coalizione di attivisti ambientali che, dalla scorsa primavera, nel Regno Unito, si batte contro ogni nuovo progetto di sfruttamento dell’energia fossile. Tra i finanziatori di questo movimento ci sono anche degli insospettabili.
L’urgenza climatica è infatti la nuova battaglia di Aileen Getty, nipote del magnate del petrolio americano J. Paul Getty. La donna applaude i militanti del collettivo Just Stop Oil che moltiplicano le azioni spettacolari nei musei: «Un allarme che ci fa uscire dallo status quo», dichiarandosi fiera di finanziare il Climate Emergency Fund. Un’organizzazione che ha cofondato nel 2019 e che ha distribuito più di quattro milioni di dollari a movimenti come Extinction Rebellion e Just Stop Oil.
Il modus operandi è stato lanciato in tutto il mondo nel 2018 da Extinction Rebellion, ripreso dai tedeschi Laetze Generation (“rivolta dell’ultima generazione”) e dai francesi Last Renovation, quest’ultima all’origine dell’interruzione di due tappe del Giro di Francia e dell’irruzione di un attivista al Roland-Garros.
L’ecologismo ha sempre utilizzato modalità d’azione non convenzionali, anche forme più radicali. La “deep ecology”, l’ecologia profonda, nasce nel 1973 dal filosofo norvegese Arne Naess in netta contrapposizione con la “shallow ecology” – l’ecologia superficiale – e presuppone un cambiamento nei valori di base. Non semplicemente un riformismo tecnico in virtù di una maggiore efficienza delle società occidentali, ma una critica a tutto campo del rapporto uomo-natura a partire dai principi dell’ecologia, la necessità di norme d’azione che guidino un cambiamento profondo nella società.
Dunque, i movimenti attuali non rappresentano una rottura rispetto ai loro predecessori: sono in un rapporto di continuità con essi, ma con un’escalation di intensità.
«Vale di più la vita o l’arte?», ha domandato l’attivista ventenne Phoebe Plummer, prima di lanciare la zuppa sulla celebre opera di Van Gogh.
Una forma di militanza consapevolmente impopolare, che non attira certamente simpatie ma irritazione quando non sdegno. Molti considerano queste azioni controproducenti da un duplice punto di vista, politico e mediatico, ma se quella zuppa di pomodoro fosse stata gettata contro una raffineria di petrolio chi ne avrebbe parlato?
Comportamenti che fanno discutere, ma che forse nascondono l’esasperazione di una generazione che non riesce a capacitarsi dell’incredibile sfasamento che esiste tra i continui allarmi lanciati dalle agenzie internazionali e i comportamenti degli Stati.
In questa tragica asimmetria tra un pianeta che oramai sembra perduto e l’incapacità delle nazioni di ascoltarsi, si trova la spiegazione dei gesti dimostrativi, che molti ritengono giustamente sgradevoli, ma che dovrebbero farci aprire gli occhi sulla irreversibilità della situazione verso la quale ci stiamo ostinatamente dirigendo.
Francesca Santolini, giornalista scientifica, saggista, divulgatrice ambientale. Collabora con il quotidiano La Stampa, dove scrive di ambiente, clima e sostenibilità e con la trasmissione Unomattina in onda su Rai Uno, dove si occupa di ambiente. Ha partecipato a numerose trasmissioni televisive e radiofoniche intervenendo sui temi d’attualità legati all’inquinamento e al clima. Per Marsilio ha scritto “Passio Verde. La sfida ecologista alla politica” (2010), mentre per la casa editrice Rubbettino “Un nuovo clima. Come l’Italia affronta la sfida climatica” (2015) e “Profughi del clima. Chi sono, da dove vengono, dove andranno” (2019).
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