Corrente specificamente italiana, nel decennio 1920-30 fece emergere in pittura il clima di instabilità e inquietudine che caratterizzava la nostra società in quel periodo complesso, collocandosi a metà strada tra il nuovo classicismo e la metafisica rampante.
Realtà e magia non possono confondersi. Esprimono concetti in antitesi, unirli è una contraddizione di termini, un ossimoro. Eppure chi non ha provato, tra le proprie esperienze, l’aver vissuto realmente un momento di magia? Chi non ricorda di aver colto (o di essersi lasciato sfuggire) l’attimo di un sogno impossibile per la sua malìa? Chi non crede che anche dietro la routine quotidiana ci possa essere la scintilla improvvisa di un incanto inatteso? Di certo gli artisti più di tutti noi.
Realismo magico, una corrente italiana
In particolare quelli di una corrente esclusivamente italiana, e apprezzata da subito a livello europeo, il Realismo Magico. Una corrente che esprimeva un modo di sentire diffuso, più che un’estetica precisa di una compagine compatta di artisti, magari dettata da uno specifico “manifesto”. Come scrive Valerio Terraroli “Realismo Magico è un modo di sentire, percepire, interpretare, leggere il contingente. La quotidianità, il qui e ora, il cui medium è una pittura che, opponendosi alle tensioni dinamiche futuriste e alle sensibilità deformanti espressioniste, si colloca in una posizione equidistante sia da un generico “ritorno all’ordine” antimodernista sia dalle invenzioni metafisiche dechirichiane”.
La mostra a Palazzo Reale di Milano
Un’ottantina di tele propongono a Palazzo Reale di Milano, nella suggestiva mostra che porta il titolo della corrente, quella pittura fatta di soggetti reali. Capolavori restituiti con cura e precisione quasi fotografica, eppure misteriosi nella loro staticità trattenuta e nell’atmosfera straniante. Sono ritratti di donne o fanciulle dallo sguardo sospeso, nature morte che vanno oltre, paesaggi che respirano straniamento oppure amanti senza erotismo, rese in un’atmosfera fredda e nitida, ricca di dettagli significanti, capaci di comunicare un senso di inquietudine sempre insospettato al primo sguardo.
Carrà, Casorati, de Chirico, Levi, Cagnaccio… i protagonisti del Realismo magico
Questi pittori, dai capifila Carlo Carrà, Felice Casorati, il primo Giorgio de Chirico ai vari Carlo Levi, Cagnaccio di San Pietro, Antonio Donghi, Gino Severini, Achille Funi, Mario Sironi, cercano di farci scoprire il senso del magico nella vita quotidiana, che per loro è “un costante, inesauribile miracolo”, grazie alla “riscoperta” del mestiere della pittura e dei valori plastici dell’arte del passato, da Giotto a Piero della Francesca.
Un miracolo in costante ambiguità
Però quel miracolo è sempre visto con l’occhio di chi ne dubita, di chi intinge il dito nel sangue della piaga, di chi non riesce a sognare. Il miracolo sprofonda così in una costante ambiguità, in un fascino che ha il suo fulcro nella banalità, in una sospensione temporale che sa di alienante incomunicabilità quando sono presenti delle figure oppure di attonita ma discorsiva oggettività analitica quando si tratta di cose o paesaggi.
Il percorso dell’esposizione sul Realismo magico
Il percorso dell’esposizione è cronologico-tematico. Si passa dall’iniziale “Profezia e definizione di uno stile” con il magnifico ritratto di Silvana Cenni di Casorati e l’inafferrabile L’allieva di Sironi, al “Tempo sospeso”. Dove molti ritratti maschili, fieri e imperturbabili, di cui non si scalfisce neppure la superficie, contornano il nudo di Mario Tozzi La toeletta del mattino, piccolo racconto di un’umanità in attesa di chissà quale miracolo.
Seguono “Il paesaggio come sogno” con il paradigmatico Pino sul mare di Carrà, una tela piena di fantasmi non raffigurati, “L’oscurità dell’eros”, con Cagnaccio che in Dopo l’orgia esprime in modo sottile una condanna della deriva morale del fascismo. Lo fa semplicemente raffigurando un polsino con gemello decorato dal fascio littorio in una stanza in cui tre donne nude dormono su tappeti, tra carte da gioco, bottiglie vuote e bicchieri rovesciati. (E il capolavoro venne rifiutato alla Biennale del 1928, presieduta da Margherita Sarfatti, musa del duce e fondatrice del movimento Novecento, strumento di propaganda del ventennio.)
Dalla stanza dei giochi alla vita segreta delle cose
Le sezione successiva è “La stanza dei giochi è vuota”, con l’altro magnifico Cagnaccio Bambini che giocano, immersi in una solitudine stupita e in attività ludiche tutt’altro che consolatorie. Segue “L’ultimo carnevale”, dove i Giocatori di carte di Severini richiamano Cézanne nella messa in scena e quasi anticipano l’Ingmar Bergman de Il settimo sigillo in un più sotterraneo confronto con la morte. “La vita segreta delle cose”, che diventano glaciali interfaccia della figura umana, e per questo algide rappresentazioni di simulacri del vivere, Le scarpe di Edita Broglio, Medicinali di Cagnaccio, La théière de porcelaine di Severini.
Chiude la sezione “Fermo immagine: l’ambiguità del reale”, titolo quanto mai indicativo della poetica del movimento, che in queste donne alla toeletta, indossatrici, mademoiselle, operaie, cocottine, pollarole, amanti, mostra, come scriveva Massimo Bontempelli nel 1927, “precisione realistica di contorni, solidità di materia ben poggiata sul suolo; e intorno come un’atmosfera di magia che fa sentire, traverso un’inquietudine intensa, quasi un’altra dimensione in cui la vita nostra si proietta”.
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