Secondo il rapporto di ActionAid sulle condizioni di vita e di lavoro delle lavoratrici in agricoltura, sarebbero fra 51 e 57mila le donne che si vedono negare diritti e tutele fondamentali: salari dignitosi, salute e sicurezza sul lavoro, libertà e incolumità personale. Di fronte alle situazioni diffuse di degrado ed emarginazione, la risposta istituzionale è inadeguata.
L’Italia non è un paese per donne. Soprattutto se lavorano in agricoltura. Sono tra 51 e 57mila le lavoratrici sfruttate nei campi italiani. Considerando che, in base ai dati Istat 2021, in Italia sono 233 mila le donne impiegate complessivamente in agricoltura, silvicoltura e pesca, si tratta di una lavoratrice su quattro. Queste donne, soprattutto nel Mezzogiorno, lavorano senza interruzioni e giorni di riposo, in condizioni igieniche precarie e per salari più bassi rispetto agli uomini. Sono sottoposte a discriminazioni, abusi, molestie, violenze. “Sono le cassette di frutta e verdura che riempiono”.
È il quadro drammatico disegnato dal report “CAMBIA TERRA. Dall’invisibilità al protagonismo delle donne in agricoltura” realizzato dall’organizzazione no profit ActionAid. “Cambia Terra” è anche il nome del progetto di emancipazione delle donne che lavorano nell’agricoltura in Puglia, Basilicata e Calabria, attivo dal 2016.
Le invisibili dell’Arco Ionico
Fragole, angurie, pesche, albicocche. Pomodori, cavolfiori, finocchi, peperoni, asparagi, mandorle, uva. Siamo nei campi dell’ “Arco Ionico”, il tratto di costa a cavallo di Basilicata, Calabria e Puglia, che prende il nome dal mar Ionio che lo bagna. Qui lavorano 22.702 operaie agricole. Sono le lavoratrici regolari intercettate dalle statistiche ufficiali. La raccolta stagionale di frutta e verdura dell’area – segnala ActionAid nel report – richiede un numero di lavoratori almeno doppio. Per la maggior parte, le lavoratrici sono italiane (16.801), mentre le straniere sono per il 76% originarie di Romania e Bulgaria. Nel corso dell’indagine, ActionAid ha intervistato in particolare 119 lavoratrici rumene e bulgare impiegate nei campi della zona.
La loro giornata lavorativa inizia generalmente fra le 4:00 e le 4:30. Per raggiungere il posto di lavoro utilizzano i mezzi pubblici o macchine e pulmini gestiti spesso dai “caporali” che comandano nei campi. Nonostante le difficoltà di spostamento, in molti casi sono costrette a lavorare in più aziende contemporaneamente. Le donne hanno mani più piccole, quindi possono assicurare una migliore qualità di alcuni lavori agricoli, come la raccolta degli acini. Ma, per il fatto di svolgere lavori “meno pesanti” degli uomini, hanno una paga oraria inferiore. In quali condizioni lavorano? Dipende.
Un sistema di sfruttamento e illegalità diffusa
Secondo stime del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in agricoltura i lavoratori in nero sono circa 160mila. Sono soprattutto gli immigrati ad essere sottoposti a tipologie contrattuali e di impiego sfavorevoli – osserva il report di ActionAid -, caratterizzati da forme di reclutamento illegali o ingannevoli, sottosalari, orari eccessivi di lavoro, mancato riconoscimento delle percentuali di maggiorazione per il lavoro straordinario, notturno e festivo. E ancora: discrepanza tra le giornate lavorate e quelle ufficialmente dichiarate; restituzione al datore di lavoro di una quota dei soldi versati regolarmente in busta paga; scarsa tutela della sicurezza e della salute; violazioni delle norme sulla previdenza sociale; condizioni di lavoro e di vita degradanti. Fino a raggiungere la schiavitù, con violenza, minacce, sequestro dei documenti, restrizione della libertà personale.
“In Italia – evidenzia ActionAid -, si fa ancora ampio ricorso al caporalato, un sistema per il reclutamento illegale e la gestione di manodopera non qualificata, soprattutto di quella stagionale, in larga parte composta da stranieri/e. Si tratta di un meccanismo allargato di sfruttamento, sostanzialmente riconducibile alle agromafie, di cui il caporale è solo la componente finale a diretto contatto con i lavoratori e le lavoratrici”. Secondo l’Osservatorio Placido Rizzotto Cgil-Flai, parliamo di un’economia illegale che vale 5 miliardi di euro.
In questi contesti, le lavoratrici diventano facilmente vittime di discriminazioni, molestie, abusi e violenze sessuali. Fino ad essere oggetto di tratta di esseri umani a scopo di sfruttamento lavorativo o sessuale. La cittadinanza europea – sottolinea ancora il report – non impedisce questi crimini. Secondo l’European Platform Tackling Undeclared Work, il gruppo di lavoro sul sommerso che fa capo alla Commissione europea, in Europa l’occupazione agricola stagionale non registrata è pari al 32%. Per l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil) raggiunge addirittura il 61,2% degli occupati totali nel settore.
La gerarchia salariale che penalizza le donne in agricoltura
La prima forma di discriminazione di genere in agricoltura è quella salariale. Per fare solo alcuni esempi, nella Piana del Sele in Campania gli uomini percepiscono circa 40-42 euro al giorno, mentre le donne ne guadagnano al massimo 28. In Sicilia le lavoratrici delle serre incassano dai 25 ai 32 euro a giornata a fronte degli almeno 40 euro dei lavoratori. “In agricoltura, esiste una sorta di gerarchia salariale – spiega il report -, secondo cui un uomo italiano guadagna più di una donna italiana, la quale ha un compenso più alto di un uomo straniero che, a sua volta, è pagato di più di una donna straniera”.
Fra le pratiche illegali diffuse nelle aziende agricole italiane, c’è poi quella di dichiarare un numero inferiore di giornate rispetto a quelle effettivamente lavorate; questo impedisce alle donne non solo di accedere all’indennità di infortunio, malattia e disoccupazione agricola come gli uomini, ma anche a quella di maternità. Il lavoro senza interruzioni e senza riposi, così come i continui e lunghi spostamenti fra più luoghi di lavoro rendono più gravosa anche la gestione del lavoro di cura familiare. Un carico che ricade prevalentemente sulle spalle delle lavoratrici a causa di ruoli di genere ancorati a vecchi modelli patriarcali e per la difficoltà ad accedere ai servizi pubblici, inesistenti o costosi.
Per le braccianti, diritti negati e violenze quotidiane
Ma c’è di più. “Molte donne, ad esempio, hanno lamentato inadeguate pause di lavoro – spiega ancora ActionAid -, la mancanza di servizi igienici nei campi, l’obbligo di svolgere le mansioni più faticose perché straniere o di doversi accontentare di abitazioni fatiscenti. Hanno in sostanza rilevato la loro subalternità agli occhi di caporali e datori di lavoro sleali che – danneggiando lavoratrici e buone pratiche di filiera – le considerano numeri”. Inoltre, la carenza di informazioni sul tipo di lavoro che si andrà a svolgere, la mancanza di contatti con la comunità locale, la scarsa conoscenza della lingua, la responsabilità verso i figli o i familiari rimasti in patria rappresentano ulteriori fattori di vulnerabilità per le lavoratrici immigrate.
“Guadagno trentotto euro al giorno. Chi riesce lavora senza interruzioni, dal lunedì alla domenica. Gli uomini ricevono due euro in più all’ora perché hanno compiti più pesanti. Stamattina mi sono alzata presto, cominciamo alle sei: prepariamo il terreno per piantare le fragole, lo concimiamo. Devo stare sempre piegata e adesso che sono incinta è faticoso. Mi sento sfiancata, però sono obbligata ad andarci, ho bisogno di soldi”. A raccontarlo è Catalina, una delle lavoratrici incontrate da ActionAid.
Da qui a forme esplicite di violenza verbale, fisica, psicologica e sessuale, il passo è purtroppo breve. “Le donne in agricoltura sono esposte a violenza e molestie sui luoghi di lavoro, sui mezzi di trasporto che le conducono sui campi, nelle serre, nei magazzini o nelle fabbriche di confezionamento, negli alloggi messi a disposizione dai datori di lavoro” racconta ActionAid. Generalmente la violenza è accompagnata da minacce, come quella di perdere il posto, di essere demansionata o non pagata, per isolare ancora di più la vittima e spingerla a non denunciare. Purtroppo, nonostante il fenomeno sia “storico”, continua ad essere trascurato tanto che non esistono dati ufficiali in merito.
Un nuovo protagonismo delle donne in agricoltura è possibile
“Nonostante il quadro finora descritto evidenzi le gravi situazioni di vulnerabilità e discriminazione a cui le lavoratrici agricole, italiane e soprattutto straniere, sono sottoposte quotidianamente, la risposta istituzionale risulta essere ancora inadeguata” denuncia ActionAid. Eppure, basterebbe “poco” per rendere l’Italia un paese per donne, anche in agricoltura. Come? Dando piena attuazione al Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato (2020-2022); al Piano nazionale per la lotta al lavoro sommerso; ai Piani urbani integrati per il superamento degli insediamenti abusivi dei lavoratori in agricoltura previsti dal Pnrr (2021-2026). Così come al Piano nazionale contro la violenza maschile sulle donne (2021-2023) e ai piani antiviolenza regionali; alla Strategia nazionale per la parità di genere (2021-2026); alla Convenzione Oil n. 190 sull’eliminazione della violenza e delle molestie nel mondo del lavoro.
“In questo quadro, un ruolo fondamentale può essere svolto anche dalla legge 199/2016 contro il lavoro nero e lo sfruttamento in agricoltura – aggiunge il report – se l’approccio di criminalizzazione finora attuato verrà debitamente integrato da disposizioni normative e linee programmatiche mirate a rafforzare le azioni di prevenzione, anche in ottica di genere che tenga conto delle diversità delle lavoratrici del comparto agricolo”.
Sul protagonismo delle operaie agricole si fondano le attività di emancipazione promosse da ActionAid in Puglia, Basilicata e Calabria con il coinvolgimento di istituzioni, sindacati, associazioni locali, imprese agricole e datori di lavoro, comunità locale. Fra queste, i “laboratori di comunità” dove si progettano e implementano servizi di welfare per le lavoratrici agricole con il coinvolgimento diretto delle interessate; la “Cittadella della condivisione” a Schiavonea, nella piana di Sibari in Calabria: uno spazio aperto alle donne dove si forniscono servizi di orientamento al lavoro, supporto all’accesso ai servizi sociali e tutela legale, mediazione linguistica.
(Foto di copertina e infografica disponibili sul sito ActionAid: https://www.actionaid.it/informati/press-area/donne-braccianti-invisibili-e-sfruttate)
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