«Il contatto con i nostri nonni è un viaggio nella vita. Portarli in giro per la città o per le colline bolognesi è stata un’esperienza di un arricchimento straordinario per me». A parlare è Silvia Casoni, vice presidente dell’associazione bolognese In bici senza età. Un progetto internazionale che porta avanti da quattro anni insieme a Cinzia Franchitti. L’iniziativa nata a Copenaghen nel 2012, si è propagata in ben 450 città di 37 Paesi.
Lo slogan è Il diritto di sentire il vento tra i capelli. E come, se non su un mezzo a pedali? In questo caso non si tratta della classica bicicletta, ma di una cargo bike o un simil risciò a pedalata assistita, guidati da un volontario. Il progetto si rivolge agli anziani o disabili che vivono nelle strutture di residenza o nelle proprie abitazioni. Dialogo, relazione, inclusione sociale, amicizia: questi sono gli obiettivi.
A causa del Covid-19 le passeggiate hanno subìto un’interruzione. Eppure qualcosa si sta muovendo, come è accaduto in Spagna dove In bici senza età è diffuso in diverse città e nei Paesi Baschi, a San Sebastián, dove è particolarmente attivo. Infatti, con le dovute accortezze il servizio dei volontari è ripartito in agosto. Così gli anziani hanno potuto godere dello stare in compagnia, all’aria aperta in città e fuori.
A Bologna, l’unica esperienza
Inizialmente, il progetto era approdato anche a Torino, Milano e Cagliari, ma solo a Bologna è stato portato avanti grazie alla caparbietà di Silvia Casoni, 51 anni, un’appassionata di biciclette, e Cinzia Franchitti, 27 anni, educatrice presso la Casa Residenza Anziani Villa Paola di Bologna dove il progetto ha trovato spazio. Dallo scoppio della pandemia però il servizio per gli ospiti della residenza è sospeso. Le regole nazionali, ma soprattutto regionali e dell’Asl, sono molto stringenti. I limiti dovuti al distanziamento fisico non consentono la ripresa delle uscite. «È difficile spiegare la situazione quando ci chiedono di poter uscire in bicicletta. Lo vorrebbero tanto, vedremo come evolverà la situazione in futuro. Al momento c’è tanta incertezza con l’autunno e l’inverno in arrivo», spiega Cinzia.
Nessun finanziamento pubblico in Italia
Lì dove In bici senza età si è affermato è stato anche grazie ai finanziamenti pubblici e a quelli europei, che hanno coperto il 20% del costo per l’acquisto delle cargo bike. «Il prezzo non è indifferente – spiega Cinzia -. Ogni bicicletta ha un costo di 7.000 euro». Le due volontarie sono determinate, comunque, ad andare avanti. «Passata l’emergenza, quello che vorremmo fare è una raccolta fondi dal basso (crowfounding) non solo per acquistare nuove biciclette, ma anche per formare altri volontari. Vogliamo offrire questa opportunità ad altre persone, adulti e anziani». Ci tengono però a sottolineare: «Non vogliamo fare di questo progetto un business, non ci interessa il profitto. Vogliamo fare solo volontariato autosostenendoci, avere le risorse per aggiustare le biciclette quando si rompono. La bicicletta è una terapia naturale. Abbiamo portato in giro persone con Alzheimer con crisi di deliri. Abbiamo notato che stando a contatto con la natura, con l’ambiente esterno che li circondava, sono tornate più calme, tranquille».
C’è una cultura e una mentalità da cambiare
Perché un progetto come questo, o simili, si affermi in Italia bisogna cambiare mentalità. «In Italia manca un’educazione sui benefici dello stare all’aria aperta. Ci manca una cultura e una educazione all’outdoor. Come Paese stiamo investendo più nell’infanzia, ma non abbiamo capito che è importante per tutte le fasce di età. All’esterno la medicina è per tutti: il contatto con la natura, il ritorno alle origini, lo sviluppo dei sensi. Anche nella vecchiaia, anche quando una parte del cervello risulta compromessa, nei casi di Alzheimer o di demenza, quando si hanno problemi motori bisogna ritornare a sperimentare attraverso i sensi», spiega Cinzia Franchitti.
«Questa cultura in Italia per la terza età la vedo molto, molto ridotta. Abbiamo ancora troppe paure: la persona anziana si ammala, quando in realtà diversi studi dimostrano che più si svolge una vita all’aria aperta più negli anni ci si ammala di meno. Invece, stando troppo al chiuso, basta un colpo di vento che arrivano raffreddore e influenza perché non si è abituati a stare all’esterno».
E se c’è una cosa che il Covid ci ha insegnato è proprio questa: stare di più all’aperto giova alla salute.
(Crediti foto di apertura: In bici senza età, San Sebastián, settembre 2020)
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