«Lo vedo già il direttore di banca: mica mi ama più come prima». Ironizza Giobbe Covatta, comico, attore, scrittore, commediografo, dal ‘94 al fianco di Amref, la Ong che si occupa di salute in Africa coinvolgendo le comunità locali nei propri progetti.
Gli abbiamo chiesto che estate sarà la sua, quella di Giobbe Covatta, dal momento che le restrizioni legate al Covid imporranno il distanziamento e il settore dello spettacolo sta attraversando una fase di profonda crisi: «Mi piacerebbe che fosse un’estate di lavoro ma, col Coronavirus, già so che non sarà così».
Restrizioni permettendo, che farà: conta di andare in vacanza?
Sono una persona fortunata. Posso dire di non aver lavorato un giorno in vita mia. Fino a trent’anni sono stato in mare – ho fatto lo skipper – e poi è iniziato il lavoro d’attore. Un lavoro che, ogni volta, ti permette di giocare un po’ come i bambini: facciamo che oggi tu sei Anita e io Garibaldi. Tu ti metti una coperta rossa addosso e via. Questo per dire che tutti i mestieri che ho fatto sono stati belli e sono stato pure pagato! Perciò, non bramo la vacanza. Il sole e i tropici, sì: me li porto dentro. Sono un tipo tropicale.
Se ne resterà a casa?
Sono un tipo tropicale, dicevo, tant’è che – con mia moglie Paola (Catella, sceneggiatrice e scrittrice – ndr) – ogni volta che progettiamo un viaggio, magari pensiamo alla Normandia e poi ci ritroviamo puntualmente in Sudan perché al calore e al sole alla fine non riusciamo mai a rinunciare. Con Paola abbiamo la fortuna di avere due case: la sua, di famiglia, a Forte dei Marmi e la mia, antica, nella campagna delle Marche. Faremo un po’ qua e un po’ là. Lei preferisce il mare, e io pure non lo disdegno – anzi, sono cresciuto in acqua -, ma il problema è che in spiaggia incontri sempre qualcuno che ti tira la sabbia, quello che lancia la pallonata. Bisognerebbe prendere una barchetta e andarsene in mezzo al mare.
Dopo la quarantena ha sentito il bisogno di staccare, di uscire?
Ora, non vorrei dirlo, ma la mia quarantena è stata bellissima. Certo, chiusi in casa, ma è stato un tempo bello: con Paola e mia figlia Olivia che ha 22 anni. E non è stato bello solo perché non ci siamo presi a capelli (ride), ma perché abbiamo riscoperto un tempo tutto nostro. Giornate indistinguibili una dall’altra ma piene di cose che altrimenti, magari, non avremmo mai fatto.
Una su tutte?
Abbiamo fatto un puzzle da otto milioni di pezzi che è servito tirar giù i tramezzi per farlo entrare dentro casa…
Guardando al passato, c’è un’estate che le è rimasta nel cuore?
Tutte, nessuna in particolare. La bella stagione è la mia stagione, solo che inizio ad avere una certa età e non mi ricordo di una in particolare. Potrei dire quella del 1622 quando andai in vacanza con la mia prima fidanzatina o l’altra – nel 1743 – quando ho messo piede per la prima volta su una barca e ho afferrato un timone. Di tutte però sì, qualcosa mi resta: quell’odore inconfondibilmente salmastro che si mescola col profumo delle piante selvatiche.
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