Grazie a una grande opera di rinnovamento e investimenti, e promuovendo lo sviluppo locale, un piccolo borgo molisano rinasce trasformandosi in un luogo innovativo e sostenibile.
Non lamentarsi di ciò che manca, ma valorizzare quello che si ha. È questa l’idea che ha guidato negli ultimi anni il rilancio di Castel del Giudice, un paese di 320 abitanti nell’alto Molise che oggi è un esempio virtuoso di riqualificazione urbana e sociale.
«Il nostro borgo rischiava di sparire a causa del progressivo spopolamento che colpisce le aree interne – racconta il sindaco Lino Gentile -, così abbiamo deciso di creare progetti in grado di camminare con le proprie gambe, con il coinvolgimento degli abitanti e degli imprenditori che volevano scommettere su questo territorio. La prima sfida è stata la riconversione della scuola elementare, chiusa da diversi anni per mancanza di iscritti, in una struttura socioassistenziale che oggi garantisce accoglienza, assistenza sanitaria, prestazioni di recupero a persone anziane e con disabilità, e che allo stesso tempo è diventata un’opportunità di lavoro per i giovani del posto. Il primo a crederci è stato un imprenditore di Capracotta, un paese vicino, che da anni lavorava al Nord e che ha deciso di reinvestire sulla terra delle sue origini, dopo aver portato avanti molti progetti di sviluppo e istruzione in Africa».
Insieme al Comune e all’amico imprenditore, altri 25 cittadini hanno partecipato alla riqualificazione dell’edificio dando vita ad un micro-modello di sviluppo locale partecipativo. Oggi la RSA è parte integrante del borgo, a pochi passi dal Municipio e dalla stazione delle bici elettriche, e dal Duemila è l’unico esempio molisano di azionariato popolare per una struttura socioassistenziale.
Ma questo è stato solo l’inizio: nel 2003 è arrivata l’idea di recuperare i terreni abbandonati della zona per impiantare un meleto biologico, recuperare le varietà autoctone di mele e puntare sull’agricoltura dell’eccellenza: 40 ettari di appezzamenti di diverse dimensioni, con filari ordinati di alberi verdi, rigorosamente non trattati con sostanze chimiche. Nella “periferia” del paese c’è la sede di Melise, l’azienda locale che convoglia il prodotto di quei campi: di fronte c’è il Giardino dei meli antichi, un meleto dove sono state piantate oltre 70 varietà di mele dell’Alto Sangro molisano e abruzzese, ognuna con la sua targa che ne indica le origini e la storia.
«È un lavoro delicato il nostro – spiega Simone Gentile, giovane responsabile del meleto – anche perché il melo ha un ciclo di sviluppo biennale, e qui non vengono usati trattamenti chimici sulle piante».
L’appezzamento più visitato si trova ai piedi del santuario del paese. «Qui ci sono 2.600 piante – dice Simone – ma fra i vari terreni abbiamo superato i 40 ettari, e continuiamo a fare a mano la selezione dei frutti, ripulendo le piante da quelli più piccoli e permettendo a quelli robusti di crescere di più».
L’altro grande progetto che parte dal recupero dell’agricoltura di qualità è il birrificio di birra agricola Malto Lento. Anche in questo caso, il responsabile è un giovane appassionato, Emanuele Scocchiera: «Le piante che vedete qui fuori – spiega – sono piante di luppolo che coltiviamo noi, come pure l’orzo. Per questo la nostra birra è agricola e non artigianale, perché anche le materie prime sono frutto di questo territorio».
A completare il percorso virtuoso intrapreso da questo “piccolo mondo aperto al mondo”, come lo definisce il sindaco Gentile, è nato – nel 2019 – l’apiario di comunità, al quale partecipano più di 30 apicoltori e apicoltrici, per un totale di circa 300 arnie e oltre 20 milioni di api. Ognuno cura le sue, ma il miele si produce insieme. Il progetto è stato promosso, oltre che dal Comune, da Legambiente Molise e dall’Associazione apistica Volape.
Dopo un anno difficile, Castel del Giudice ha riaperto anche al turismo e circa un mese fa ha inaugurato altre nuove casette che fanno parte del progetto dell’albergo diffuso di Borgotufi, nato dalle “ceneri” delle vecchie stalle private, quasi tutte abbandonate, trasformate in mini appartamenti e suite per i visitatori che vogliano trascorrere una vacanza in un piccolo borgo a 800 metri di altezza. «Abbiamo lanciato l’idea fra i proprietari – ricorda il primo cittadino – e abbiamo ricevuto una risposta quasi unanime anche da parte dei più anziani, che usavano quegli spazi solo parzialmente e che hanno avuto la lungimiranza di guardare al futuro fidandosi del progetto».
Delle cinquanta stalle a disposizione, trentatré sono già state rigenerate mentre altre, ancora in fase di ristrutturazione, presto accoglieranno piccole botteghe di prodotti tipici. L’unica struttura costruita da zero è quella che ospita il ristorante, la hall e il centro benessere.
Nel frattempo, l’accoglienza è passata anche dai progetti per le famiglie di cittadini stranieri che in questi ultimi anni sono stati inseriti nel tessuto sociale del borgo. «Qui cerchiamo di valorizzare le competenze di tutti – dice il sindaco -, attualmente abbiamo allargato la nostra comunità ad una famiglia pakistana ed una venezuelana. Penso che lavorare insieme a dei progetti sia gratificante per tutti, si tratta solo di valorizzare le competenze. L’integrazione si costruisce con la conoscenza e l’inserimento attivo nel tessuto sociale».
Qui la chiamano “imprenditorialità affettiva”, la visione di chi non ha paura di aprirsi al resto del mondo e sceglie di investire in un territorio piccolo ma ricco, sul quale fino a qualche anno fa nessuno avrebbe scommesso sulla sopravvivenza. Sbagliandosi completamente.
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