Mi arrivano, per questa pagina in cui si riflette sul terzo tempo delle nostre vite, molte lettere.
Quasi tutte parlano di sesso e di amore, di nuovi incontri fuori tempo massimo, di stanchi matrimoni, di vedovanze inquiete. Questo mese vorrei rispondere alla lettera che vi riporto interamente nella sua secchezza e tristezza: «Cara Lidia Ravera, dopo i 50 anni vivere con il marito o la moglie è deludente. Si condivide poco. Tentare di sostituire o rimpiazzare è inutile. È preferibile allora ricostruirsi una vita da soli. Senza passioni e sesso si vive in bianco e nero». Siete d’accordo? La lettera non è firmata.
Il giudizio è drastico, ma non manca di una sua verità. I matrimoni stanchi sono peggio di una decorosa e volonterosa solitudine. Rilevare giorno dopo giorno il tasso di ripetizione, i tic, le piccole manie, le distrazioni, le involontarie sgarberie, pesa parecchio. Le parti in commedia ve le siete assegnate decenni fa, con gli anni si sono esasperate: lui fischietta tutte le mattine, voi vi svegliate di pessimo umore, voi siete superattive e lui pigro, lui si incolla alle partite di calcio (ormai ce ne sono tre al giorno tutti i giorni) e voi amate il cinema (ormai ce n’è tanto anche in televisione con i vari Netflix e Sky), lui è silenzioso a tavola, voi adorate fare conversazione e ricordate con nostalgia quando restavate a tavola a chiacchierare fino a mezzanotte. Lui non vi fa un complimento neanche a pagarlo. Non vi sentite desiderate, perciò quando allunga stancamente la zampa per darvi quattro pesanti carezze e poi chissà… vi voltate dall’altra parte, “Buonanotte” e via. Vi rendete conto che la vostra intimità subisce tutti gli automatismi che impediscono di guardarsi davvero. Lui non vi vede più, voi non lo vedete più. Divorziare? Senza che ci sia violenza o tradimenti è molto difficile. Decidere, sopra i 50 (i 60?) di restare sole o soli, è come saltare nel buio.
Avete un paio di amiche, che borbottano ma restano sposate. Allargare il cerchio delle amicizie quando sei in pensione sembra impossibile. Pensate che quando sarete una “single” non più giovane non verrete più invitate alle cene, perché sono tutti accoppiati, perfino il burraco si gioca in coppia. La solitudine fa paura. E allora guardiamola in faccia questa solitudine, questo mondo “in bianco e nero” che ci spaventa: siamo sicuri che sia meno colorato del terribile matrimonio svuotato di senso? I vostri figli sono cresciuti, i vostri genitori sono morti. Sarebbe il momento della libertà, non avete più nessuno da curare, non avete più nessuno da educare. Siete sole, siete soli, ma non è poi così male. La solitudine vi spinge fuori, con l’alibi della coppia restate a casa in ciabatte, sotto l’urto della solitudine uscite. Se non la vivete come qualcosa di vergognoso, una specie di malattia da nascondere, troverete altre persone sole con cui scambiare parole nuove, non usurate da decenni di convivenza.
Se posso permettermi un consiglio: evitate come la peste le soluzioni tipo “separati in casa”. Sono a rischio. Il confronto con il passato può rendervi così amareggiate da diventare antipatiche (uso il femminile per empatia di genere, ma anche i maschi non sono certo in salvo dal rischio antipatia). Stare zitti in due, seduti alla stessa tavola, è molto peggio che cenare da soli, magari guardando un film o con un libro aperto appoggiato al cestino del pane. In definitiva mi trovo d’accordo con lo sconosciuto lettore: «È preferibile costruirsi una vita da soli». Come si fa? La prima regola è capire che cosa volete veramente, perché se vi siete sottoposti per anni al tormento di un matrimonio stanco, nove volte su dieci avete disimparato a desiderare. Bisogna ricominciare da lì. Difficile? Certo, ma molto meno che intestardirsi a far funzionare le cose, quando le cose non funzionano più.
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