Gli orti in città sono una tendenza sempre più diffusa nelle varie parti del mondo, soprattutto nelle metropoli. Ma c’è chi può essere considerato un pioniere di questo nuovo stile di vita, proprio come Jiji Latif che, da oltre quarant’anni, produce vino tra i grattacieli di New York, la città che non dorme mai.
Ingegnere oggi in pensione, Latif ha una passione per il giardinaggio ben fuori dal comune: nel suo terrazzo newyorkese, in piena Manhattan, produce vino. Le sue viti rigogliose hanno trovato terreno fertile tra le vette dei grattacieli. La prima che ha piantato, nel 1977, oggi si arrampica su quattro piani. Una pianta che cresce, così come la città tutt’intorno.
«Quando sono arrivato qui non c’erano tutti questi palazzi, ogni anno ne costruiscono uno, è un pullulare di edifici senza fine», ha raccontato qualche tempo fa, ai microfoni di una tv newyorkese. «È bello veder crescere qualcosa, non è un lavoro duro, perché capisci l’importanza della vita», ha affermato.
Ogni anno, in primavera, pota le viti, per evitare che ramifichino in ogni lato. Tra fine agosto e gli inizi settembre poi c’è il periodo più bello: le viti sono rigogliose, e i grappoli pronti per la raccolta. Dalla vendemmia Jiji ricava un centinaio di bottiglie di vino bianco. È lui stesso a realizzare le apposite etichette, dipingendo a mano, su ognuna, il nome “Chateau Latif”, un po’ in suo onore, un po’ perché il suono ricorda quello del “Chateau Lafite”, un pregiato vino francese.
Eppure, questa variante newyorkese, che per la sua esclusività dovrebbe valere parecchi dollari, in realtà non è in vendita. Jiji infatti lo regala ad amici, parenti e ai volontari che lo aiutano nei giorni della vendemmia. Un passatempo, una passione, qualcosa di più: l’amore per le viti infatti Jiji lo ha ereditato da suo padre, ebreo iracheno, che produceva vino a Bassora. Siamo lontani dall’Iraq ora, ma quel piccolo culto domestico mantiene viva una tradizione di famiglia, una tradizione che è germogliata in un giardino speciale nel cuore della Grande Mela.
(Foto Nil Kulp)
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