Tony Luciani, pittore e fotografo, ha documentato il decorso della demenza della madre novantaseienne con una serie di scatti fatti durante la loro convivenza
«Quando, a 91 anni, mia madre Elia si trasferì da me, credevo di essere io a farle un favore. In realtà, si rivelò il contrario. Aveva problemi di memoria e non accettava la propria età: sembrava abbattuta. Cercavo di metterla il più possibile a suo agio, ma mentre dipingevo al cavalletto, sbirciavo e la vedevo sempre lì, con lo sguardo perso nel vuoto. La vedevo salire lentamente le scale e non era la madre che mi aveva cresciuto: al suo posto c’era una fragile, esile, donna anziana.» è così che Tony Luciani, italo-canadese, inizia il suo racconto durante una delle conferenze firmate TED. «Dopo alcune settimane, sentii il bisogno di una pausa dalla pittura: volevo provare la mia nuova macchina fotografica, comprata da poco. Ero così contento di poter imparare tutti i comandi, i pulsanti e le regolazioni, che misi il treppiede davanti allo specchio più grande che avessi in casa, bloccando l’accesso all’unico bagno. Dopo un po’ sentì la voce di mia madre: “Devo andare in bagno”. Le chiesi di aspettare cinque minuti, lei insistette, ma io non mi mossi fino a quando, piano piano, si avvicinò a me, incuriosita».
«In quel momento ebbi una specie di illuminazione. Eravamo in sintonia. Avevamo qualcosa di concreto che potevamo fare insieme. Così cominciai ad avere delle idee su come utilizzare la fotografia per raccontare la malattia di mia madre. Mentre la facevo posare come una modella, lei mi raccontava della sua infanzia e di come si sentisse quando i ricordi la inghiottivano: stava perdendo la memoria a breve termine, ma ricordava benissimo gli anni della sua gioventù».
Cresciuta negli Anni ’20 e ’30 in un piccolo villaggio ad est di Roma, Elia Luciani era la primogenita di una famiglia contadina: quando suo padre morì giovane, sua madre rimase sola con lei e sua sorella. A 13 anni fu data in sposa ad uno sconosciuto con il doppio dei suoi anni: un matrimonio combinato in cui non aveva voce in capitolo e da cui, solo 3 anni dopo, nacque il primo figlio. Questi erano i pensieri che affioravano più spesso nella mente della signora Luciani e che lei riviveva quotidianamente.
«Le mostravo cosa doveva fare, ricreando io stesso le scene, per poi realizzarle insieme. Lei posava e io intanto imparavo sempre di più sulla fotografia. Mia madre amava la recitazione: sentiva di valere ancora, di essere utile e necessaria. E di certo non aveva paura dell’obiettivo fotografico». Tony ha pensato di coinvolgere ancora di più sua madre consegnandole una fotocamera e chiedendole di scattare almeno dieci foto al giorno. Elia, che non aveva mai usato una macchina fotografica prima, iniziò a scattare infilando l’obiettivo nel frigorifero, davanti allo specchio della camera da letto o immortalando i posti in cui faceva le proprie passeggiate quotidiane.
Dopo essersi rotta un braccio, Elia si è trasferita in una casa di cura vicina, ma suo figlio non ha abbandonato il progetto. Le fotografie più recenti la ritraggono nella sua stanza, seduta su un letto a guardare l’immagine del suo io più giovane. Lo scorso anno, Tony Luciani ha pubblicato online alcune delle foto scattate ad Elia riscuotendo un inaspettato successo in tutto il mondo: alcune di queste sono state scelte come copertina di una rivista in Polonia e sono finite anche sulla prima pagina di un quotidiano in Olanda. Lo scorso anno, una serie di 100 foto di Elia Luciani è sta ta selezionata dall’Alzheimer Society canadese per avviare una mostra sul tema a Toronto.
La signora Luciani adesso ha 96 anni, ha quasi perso la memoria del tutto, ma a volte si diverte ancora ad essere fotografata. Da qualche anno, Tony è diventato il promotore di una raccolta fondi per l’assistenza e la ricerca sulle malattie neurodegenerative: qualche giorno fa ha intrapreso il Cammino di Santiago in collaborazione con Alzheimer Society in una campagna di sensibilizzazione chiamata “Una passeggiata da ricordare”. «Quello che ho imparato da mia madre è che le persone non autonome vogliono sentirsi parte di qualcosa, qualsiasi cosa. Non deve essere per forza qualcosa di estremamente profondo, può essere semplicemente passeggiare insieme. Dobbiamo dare loro voce, interazione, partecipazione e un senso di appartenenza. Dare valore al tempo. La vita è voglia di vivere, non attesa della morte».
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