I soldi non comprano la felicità, né la salute, ma inaspettatamente possono servire per acquistare una buona memoria. Un gruppo di ricercatori dell’Università di Ginevra ha infatti scoperto che la capacità di ricordare migliora se si riceve una somma in denaro.
Dal canto suo, però, il cervello dimostra una certa onestà, accontentandosi di poco e non adottando alcuna strategia ricattatoria. In sostanza non promette di perfezionare le sue performance se la ricompensa aumenta.
Quando c’è di mezzo un premio…
La memoria – hanno spiegato i ricercatori sulla rivista Nature Communications – viene gestita principalmente dall’ippocampo, ovvero quella regione del cervello a forma di cavalluccio marino dove sono archiviati i ricordi. Quando c’è di mezzo un premio, che può consistere in una somma in denaro ma anche in un semplice “bravo”, si attiva un’altra regione del cervello chiamata area tegmentale ventrale. Quest’ultima è responsabile del rilascio di dopamina in seguito alla soddisfazione per la ricompensa. Il dialogo tra queste due aree del cervello aiuta a mantenere alta la motivazione nell’apprendimento e rafforza la memoria.
Meglio la carota che il bastone
Gli studi sull’apprendimento hanno già ampiamente dimostrato che la strategia del bastone e della carota funziona solo perché la carota spinge a fare di meglio (non il bastone). Gli studenti premiati per i loro sforzi ottengono risultati migliori di quelli puniti per le loro mancanze. Lo stesso sembrerebbe valere per la memoria.
Ma i ricercatori volevano alcune informazioni in più sul fenomeno: quanto dura l’effetto della ricompensa e qual è l’impatto di un aumento del premio? Più si guadagna e più si ricorda? Così, allo studio hanno partecipato 30 persone in salute sottoposte a un esame con risonanza magnetica funzionale, una tecnica diagnostica capace di osservare in tempo reale il cervello in azione.
Una risposta corretta, un punto
Ai partecipanti hanno chiesto di ricordare l’associazione corretta tra diverse immagini di persone e di oggetti. Ad ogni risposta corretta veniva assegnato un punto e ad ogni errore veniva tolto un punto. Il punteggio finale era poi convertito in denaro. A distanza di 20 minuti veniva chiesto ai volontari di ripetere le associazioni per guadagnare punti extra.
Osservando le immagini dell’attività cerebrale, i ricercatori hanno scoperto che il premio ha un effetto positivo e duraturo sulla capacità di ricordare. Ma per essere efficace deve venire percepito come “giusto”, né eccessivo, né scarso. «Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, i migliori risultati non sono stati associati ai premi più elevati, che avrebbero dovuto motivare maggiormente i soggetti. In effetti, i risultati più efficaci si collocano in mezzo, tra i premi più alti e quelli più bassi», commentano i ricercatori.
Bisogno di sfide e di giuste ricompense: come agisce il cervello
Per i neuroscienziati questo aspetto non sorprende più di tanto. Il nostro cervello ha bisogno di essere ricompensato per i suoi sforzi, ma allo stesso tempo ha anche bisogno di cimentarsi in sfide. Se il compito è troppo semplice o troppo difficile la motivazione cala. Una ricompensa equa ottimizza il dialogo tra le parti del cervello deputate alla memoria e quelle coinvolte nella ricompensa.
«Immaginiamo di raccogliere frutti di bosco nella foresta: se le bacche sono ovunque, non c’è bisogno di ricordare dove trovarle. Se ce ne sono troppo poche, lo sforzo necessario per raccoglierle è eccessivo in relazione al possibile guadagno. Ora, se invece grappoli di bacche sono sparsi in tutta la foresta, ricordare la loro posizione esatta ci consentirà di raccoglierne di più in breve tempo», spiegano i ricercatori ricorrendo a una metafora.
Questa scoperta potrebbe avere non solo applicazioni in campo scolastico, ma anche nell’ambito dei programmi di miglioramento della memoria destinati a persone adulte che cominciano ad avere ricordi sfumati. Per ravvivarli potrebbero essere utili dei giochi a premi, per esempio. Purché la ricompensa sia adeguata all’impresa, ovviamente.
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