Si chiama retromania la propensione del pubblico verso la musica di repertorio, l’attenzione alle canzoni e all’estetica sonora del passato, il trionfo della nostalgia e il desiderio dei grandi ritorni. Ed è un fenomeno che ha preso il sopravvento rispetto alle nuove produzioni.
Il festival di Sanremo segna ogni anno il momento più alto – dal punto di vista delle vendite discografiche e degli streaming e download digitali – per brani inediti, spesso seguiti da album che li supportano e amplificano. Anche quest’anno si annuncia vincente, almeno sui livelli dell’edizione del 2024 che piazzò cinque brani nella top ten dei singoli più ascoltati di fine anno.
Il ritorno in auge dell’estetica del passato
Un trampolino per le case discografiche e gli operatori del settore che temono sempre più il fenomeno della retromania, ovvero la propensione del pubblico a preferire la musica di repertorio e la sua attenzione rivolta all’indietro, verso le canzoni degli anni passati. Del resto lo stesso fatto che ben tre delle cinque canzoni finaliste di Sanremo fossero firmate da cantautori “autentici” (dei 29 brani in gara solo quelli di Noemi e di Massimo Ranieri non sono co-firmati dagli stessi interpreti) la dice lunga sul desiderio di recuperare un’estetica in voga fino agli anni 90 e poi sempre più in discesa.
In realtà è dal 2022, dalla fine della pandemia, reale fattore scatenante del fenomeno data la pressoché totale assenza di novità per quasi due anni, che gli analisti si accorsero come le vecchie canzoni rappresentassero quasi il 70% dell’intero mercato musicale a livello di vendite e ascolti. Tanto che qualcuno si spinse a dubitare che la vecchia musica stesse uccidendo quella nuova. Timore infondato, per ora, ma la situazione si è radicalizzata in tutto il mondo. Alla fine ha coinvolto anche i concerti, con il ritorno di vecchi divi, le reunion di band del tempo andato. E la presenza massiccia sui palcoscenici, specie d’estate e in Italia, di cover band.
Le cause della retromania
Fosse stata solo la pandemia a causare questa attenzione al passato, subito denominata retromania, anche da parte delle generazioni giovani che si vorrebbero più “rivoluzionarie” e meno ortodosse, il fenomeno si sarebbe già arrestato. Invece altri fattori lo stanno mantenendo in vita. In primis la presenza sempre più importante delle generazioni mature sulle piattaforme di streaming con il conseguente adattarsi degli algoritmi alla loro nostalgia di quando erano giovani e belle e l’utilizzo da parte di film, serie tv e pubblicità di canzoni di repertorio. Questi fattori hanno scatenato una vera e propria asta agguerrita. Una guerra tra le società di investimento e tra le major del music-biz per i cataloghi editoriali con le canzoni di vecchie star del rock e del pop. Somme ingenti che avrebbero dovuto essere utilizzate per lanciare nuovi artisti e che invece hanno bisogno di rientri con gli ascolti di quei repertori.
I “paradossi” della retromania
Questo progressivo cambiamento di preferenze ha fatto sì, ad esempio, che quest’anno a vincere il premio Grammy (il più importante riconoscimento dell’industria discografica mondiale) per la migliore interpretazione rock sia stato un gruppo sciolto da oltre cinquant’anni, i Beatles, con l’inedita “Now And Then”, assemblata da Paul McCartney con l’aiuto dell’intelligenza artificiale. E che i loro rivali storici, i Rolling Stones, i cui due leader hanno entrambi 82 anni, abbiano vinto nella categoria miglior album rock con il loro Hackney Diamonds, non certo innovativo e con la presenza di ospiti come gli altri “vecchietti” Elton John e Stevie Wonder.
Inoltre il tour che ha avuto più successo in termini di biglietti venduti e di copertura media globale è stato quello degli Oasis, un gruppo formatosi 35 anni fa e che non produce nessun disco nuovo dai tempi di Dig Out Your Soul, datato 2008. Infine anche i giovanissimi scoprono un repertorio con cui non erano ancora venuti a contatto – perché subissati dalle infinite pubblicazioni delle ultime stagioni. Secondo un’indagine di MusicRadar, nel 2024 ogni giorno è stata pubblicata più musica di quanta ne sia uscita nell’intero 1989. Un anno magnifico e che piace ancora moltissimo. Un esempio: il perfetto pop di “Dreams” dei Fleetwood Mac (datato 1977) è tornato nella top twenty grazie a un video su TikTok di doggface208 che schettina.
La musica di oggi dura l’espace d’un matin
Anche se il 2024 ci ha portato ottimi lavori discografici di cui tutti hanno parlato, siti e podcaster compresi. Eppure le case discografiche calcolano che nel giro più o meno di un mese anche il grande album da amare viene dimenticato. Tutti passano ad ascoltare qualcosa di nuovissimo o, il più delle volte, qualcosa di pubblicato molto prima. Gli addetti ai lavori pensano unanimemente che la musica di questo secolo non avrà la stessa persistenza negli ascolti. Non perché è di gran lunga inferiore a quella di 30 o 40 anni fa (e già questo lo credono in molti). In realtà quella di oggi non riesce a essere sufficientemente assimilata. Viene fruita al massimo per un paio di mesi e poi avvicendata da qualcos’altro.
Del resto gli artisti stessi sono sollecitati direttamente dalle piattaforme di streaming a far uscire un singolo mediamente ogni 50 giorni. Questo se vogliono rimanere stabilmente nel flusso attivo degli algoritmi che le regolano. Con il risultato che molte delle canzoni caricate non vengono neppure ascoltate.
© Riproduzione riservata