Sono tanti gli ucraini che stanno cercando di fuggire dal conflitto in atto, portando con sé un carico di paura e incertezza per il futuro. Ora sta a noi far sentire la nostra vicinanza e cercare tutte le possibili forme di ospitalità per chi ha perso tutto
Ruslana ha 46 anni, vive in Italia da 14. È nata a Ivano Frankivsk, una città ucraina colpita dai bombardamenti.
Da qualche giorno l’ha raggiunta una sorella di 41 anni con i tre figli, di 18, 7 e 3 anni. Quando è partita per venire in Italia il bimbo piccolo si è ammalato gravemente costringendola a tornare indietro. Dopo alcuni giorni di ricovero in ospedale, sono ripartiti. È arrivata qui dopo tre giorni di viaggio, il 13 marzo.
Oggi le giornate di Ruslana iniziano con la sveglia delle 5 per cucinare; alle 6 fa le pulizie in un ufficio; alle 8,15 per due ore lavora presso una coppia di persone anziane per la quale svolge numerose faccende domestiche; più tardi, fino all’ora di pranzo, si occupa di un’altra famiglia. Nel pomeriggio è impiegata nelle pulizie in un grande magazzino. Nel tempo restante cerca ospitalità o alloggio per i connazionali che si rifugiano in Italia.
Ruslana fa parte di quei 236mila ucraini che prima dell’inizio del conflitto vivevano nel nostro Paese e che costituiscono la comunità più grande in Europa.
Tra questi, circa l’80% è dato da donne in età lavorativa, perlopiù impegnate in lavori domestici, con un tasso di occupazione (66%) molto più alto rispetto a quello delle italiane (50%).
La storia di Ruslana ricorda quella di tante altre donne che dall’est Europa sono arrivate nel nostro Paese. A loro, in molti, hanno affidato la cura dei genitori anziani, con loro si è sviluppata una vicinanza che ha il sapore della familiarità.
Anche per questo, ma non solo, ci colpisce così profondamente oggi il conflitto nella loro terra che non risparmia né anziani, né bambini.
Da più parti si leva una voce di protesta che accusa chi si schiera dalla parte dell’Ucraina; come singoli, e soprattutto come Governi, non abbiamo tenuto posizioni così forti in tante altre occasioni precedenti a quella presente. Ciò che ci è più vicino ci fa più paura, forse non sarà giusto o logico, ma è certamente umano.
Sono critiche senz’altro fondate, ma non rammarichiamoci oggi della vicinanza che sentiamo verso l’Ucraina. Semmai utilizziamo questa nostra vicinanza emotiva per renderci in qualche modo e per quanto possibile utili in questa tragedia umanitaria. Ci sono varie azioni che possiamo compiere oltre a quella, indispensabile, di rimanere informati. Possiamo dare un sostegno economico (e a pagina 28 troverete alcune delle numerose raccolte fondi a cui si può aderire), possiamo collaborare con le organizzazioni che a livello volontario si occupano di predisporre il necessario per l’accoglienza (dalle parrocchie, alla protezione civile, alle diverse associazioni presenti in tutto il territorio nazionale), possiamo ospitare delle persone nelle nostre case, come molti italiani stanno già facendo.
Piuttosto, conoscendo la nostre naturali inclinazioni, prepariamoci fin da ora a gestire le altre pulsioni che arriveranno, le altre forze emotive che subentreranno quando l’impatto con questi eventi sconvolgenti sarà attutito dal tempo. Prepariamoci a gestire tutti quei moti di insofferenza che purtroppo forse arriveranno quando – dimenticando il drammatico senso letterale della parola – saremo noi a sentirci invasi: perché sentiremo i numeri troppo alti nelle scuole, nei servizi, nelle strade… È in quella fase, passata l’onda emotiva, che potremo in modo ancora più significativo dimostrare la nostra capacità di essere prossimi, solidali con chi ha bisogno di accoglienza.
Oggi Ruslana, per consentire alla sorella di inserirsi e avere un impiego, ha chiesto a una delle famiglie presso cui lavora di farla lavorare al suo posto per alcuni mesi.
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