L’invecchiamento della popolazione è un tema serio, che tuttavia viene spesso trascurato. Contrastare questa tendenza è un dovere, ma bisogna agire subito e con fermezza.
Il rapporto annuale del Censis ha descritto il 2023 appena concluso come un anno di “ipertrofia emotiva”, tra continui allarmi, una varietà di stimoli difficile – se non impossibile – da metabolizzare, e un bombardamento di informazioni che alzano costantemente l’asticella della preoccupazione e abbassano quella dell’attenzione. Il risultato, conclude il Censis, è che oggi per gli italiani tutto è emergenza, dunque, alla fine, nulla lo è veramente, con il rischio di diventare «sonnambuli», dove sembriamo svegli, ma non siamo realmente consapevoli.
Un tema al centro di questo “sonnambulismo”, che è sotto gli occhi di tutti, ma non suscita la dovuta attenzione (e preoccupazione) è quello dell’invecchiamento della popolazione. I dati (negativi), collegati alla demografia combinati con il fattore (positivo) dell’allungamento della vita media, danno un risultato chiaro: arrivati alla fatidica data del 2050, l’Italia avrà perso complessivamente 4,5 milioni di residenti, in pratica le popolazioni sommate di Roma e Milano.
E, mentre mancheranno all’appello 3,7 milioni di persone con meno di 35 anni, ci saranno 4,6 milioni di persone in più over 65 e 1,6 milioni in più over 85. Soprattutto, stando così le cose, nel 2050 si stimano quasi 8 milioni di persone in età attiva in meno, con tutte le conseguenze economiche e sociali che ne possono conseguire.
Non è quindi soltanto l’invecchiamento della popolazione a doverci preoccupare, ma anche quello della forza lavoro e, in generale, la possibilità di spostare la vita attiva in avanti. È questo tema che l’Associazione 50&Più ha già ampiamente affrontato nel volume La popolazione anziana e il lavoro: un futuro da costruire, nato dalla collaborazione con Fondazione Leonardo. È necessario promuovere un più ampio coinvolgimento delle fasce senior della popolazione nella vita attiva permettendo di rimanere più a lungo nel mondo del lavoro, coinvolgendoli di più, offrendo loro soluzioni su misura, sensibilizzando tutti sui pericoli dell’ageismo, migliorando l’alfabetizzazione digitale e l’accessibilità alle nuove tecnologie. È una questione di buon senso, di responsabilità verso gli obiettivi presi nei confronti dell’Europa e anche di dovere nei confronti delle prossime generazioni.
Come 50&Più, proprio questo rimane uno dei “buoni propositi” 2024: l’impegno a valorizzare le aspettative, le necessità, ma soprattutto le potenzialità dei nostri associati, che hanno dato tanto e hanno ancora tantissimo da dare, e dall’altra parte l’avviamento della Fondazione 50&Più, che sarà un osservatorio dei cambiamenti della popolazione e delle esigenze delle generazioni senior. Tra gli scopi della Fondazione c’è quello di perseguire obiettivi di solidarietà e promuovere il diffondersi di una cultura che prevenga la “cattiva vecchiaia”; che valorizzi l’età anziana come ricchezza della persona e la persona anziana come risorsa della comunità.
L’insostenibilità demografica del nostro Paese e il suo disequilibrio generazionale è infatti processo che non esplode da un giorno all’altro (e per questo viene considerato magari importante, ma spesso non urgente e quindi risulta derubricato a considerazioni di scenario). Se è lento, tuttavia, è un processo inesorabile, che minaccia la sostenibilità economica, culturale e sociale italiana. Possiamo invertire questa rotta, ma lo dobbiamo fare con decisione e fin da subito: che il 2024 possa essere ricordato come un anno decisivo da questo punto di vista. Rimbocchiamoci dunque le maniche, allora. Anzi, svegliamoci!
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