Il segreto della longevità “svelato” da un team di studiosi della Bar-Ilan University. Dall’ateneo israeliano l’elisir di lunga vita per contrastare malattie e infortuni. La ricerca è stata coordinata dal Professor Amit Shrira del Programma di Gerontologia del Dipartimento di Scienze Sociali Interdisciplinari.
Nessuno si preoccupa di una vita virtuosa, ma pensa solo a quanto tempo potrà vivere. Tutti possono vivere bene, nessuno ha il potere di vivere a lungo.
Quando Lucio Anneo Seneca, filosofo romano esponente dello stoicismo eclettico dell’età imperiale, ha pronunciato queste parole non poteva di certo sapere che millenni più tardi le cose sarebbero andate diversamente. E la longevità diventa un obiettivo ambizioso, ma anche un tema di studio. Lo spiegano bene i ricercatori di una università israeliana, Bar-Ilan University, impegnati a studiare il fenomeno della longevità.
Il lavoro – portato avanti nei mesi e coordinato dal Professor Amit Shrira – pone al centro il contrasto della frattura osteoporotica e dell’ictus. “Sentirsi più giovani, riabilitarsi meglio: effetti reciproci e di mediazione tra età soggettiva e indipendenza funzionale nei pazienti con frattura osteoporotica e ictus” è il titolo dello studio recentemente pubblicato. Tra le pagine della ricerca, emerge principalmente il modus operandi, il metodo.
Il metodo di indagine del team di ricerca
Abbiamo estrapolato dalla ricerca israeliana il metodo di indagine. Questo studio ha impiegato un campione di anziani, tra ottobre 2016 e settembre 2019, che stava seguendo un percorso di riabilitazione dopo fratture dell’anca o ictus in tre strutture in Israele. I pazienti erano ricoverati nella struttura di riabilitazione dopo aver subito un’operazione chirurgica all’anca in seguito a frattura o un trattamento stabilizzante per l’ictus. Una settimana dopo il loro ricovero nella struttura riabilitativa, sono state esaminate le cartelle cliniche dei pazienti.
Tutti i partecipanti (283) sono stati intervistati faccia a faccia da assistenti di ricerca e alcuni di loro hanno abbandonato lo studio in itinere. Cinque, ad esempio, hanno abbandonato a causa di difficoltà cognitive e 13 si sono rifiutati di completare il questionario di apertura. Dei restanti 265 partecipanti, 7 hanno abbandonato perché ricoverati in ospedale, 52 perché dimessi in una fase precoce dello studio e non hanno completato i questionari e 12 hanno avuto ripensamenti e si sono rifiutati di completarli.
Differenze di gruppo significative
Dalle pagine della ricerca emerge, quindi, che in tutto sono 194 i partecipanti che hanno completato i questionari durante la riabilitazione. Il campione finale aveva un’età media di 78,32 anni: il 64,8% erano donne e il 32,2% erano uomini. Inoltre il 32,1% aveva un titolo accademico e il 72,6% era stato ricoverato per fratture mentre il 22,6% per ictus. Infine, la durata mediana del ricovero è stata di 29 giorni.
Su questo campione sono stati indagati vari parametri tra cui quelli sulla longevità. Si legge nello studio: “Abbiamo confrontato i pazienti che non hanno completato tutte le misure (n = 89) con quelli che lo hanno fatto (n = 194). I risultati non hanno indicato differenze significative nella maggior parte delle caratteristiche di base, come l’età al ricovero o alla dimissione. C’erano tuttavia differenze di gruppo significative in due variabili. Quelli che hanno completato tutte le misure avevano un livello di istruzione superiore e sono stati ricoverati in ospedale per periodi più lunghi”.
Tra le domande poste ai senior intervistati sono state indagate le emozioni, le esperienze e le loro sensazioni in merito a “quanto si sentissero giovani”. In base alle risposte è risultato che i pazienti che si sentivano più giovani mostravano un livello di indipendenza maggiore e si riprendevano più rapidamente da un trauma o una malattia. Un traguardo dovuto soprattutto alla speranza di recuperare le proprie capacità fisiche e intellettive alla fine del percorso riabilitativo.
Il segreto della longevità? Chi si sente più giovane, può essere in salute più a lungo
I ricercatori hanno dimostrato che l’età soggettiva dei pazienti – cioè quella che loro sentivano e non quella anagrafica – è risultata un ottimo predittore dei tempi di riabilitazione. Molto più dell’età reale e delle condizioni di salute croniche precedenti. A commentare la ricerca è Amit Shrira del Programma di Gerontologia del Dipartimento di Scienze Sociali Interdisciplinari. E lo fa sulle pagine del quotidiano La Gazzetta dello Sport, ne riportiamo uno stralcio. “Chi si sente più giovane può mantenersi in salute per periodi più lunghi e, come mostra il nostro studio, è in grado di recuperare meglio dalla disabilità. Pertanto, se sentiamo di invecchiare con successo, possiamo preservare uno stile di vita sano e vigoroso”. Cosa direbbe oggi Seneca?
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