Cosa cambierebbe con l’introduzione del salario minimo nel lavoro domestico? Le Acli di Bologna hanno provato a simulare, in uno studio, le conseguenze dell’aumento.
La simulazione teneva conto di una paga di nove euro l’ora per caregiver, addetti alle pulizie e babysitter, dove si stima che un lavoratore su due sia impiegato a nero.
Salario minimo nel lavoro domestico: i risultati dello studio
Se è vero che il salario mensile per queste figure professionali aumenterebbe, passando dagli attuali 1.050 euro a 1.700, per molte famiglie la spesa diventerebbe insostenibile. Confrontando gli stipendi del 2022 con quelli del 2023, aggiornati con i minimi Istat, c’è già stato un aumento del 9,2%, e si è passati da 960 a 1.050 euro, con un costo annuo in più per le famiglie di 1.600 euro. In questa situazione, l’introduzione di un nuovo salario di nove euro l’ora porterebbe gli aumenti medi a 9.000 euro all’anno, una cifra che in pochi potrebbero permettersi. Secondo la rete bolognese, la percentuale di pensionati che continuerebbe a usufruire dell’assistenza alle stesse condizioni, scenderebbe dal 9,5% all’1,7%, con un conseguente aumento del lavoro sommerso.
“In base allo scenario attuale i suddetti aumenti sarebbero incentrati solo sulla retribuzione corrente e differita lasciando invariato il trattamento pensionistico, l’assicurazione Inps e il costo annuale dei contributi”, ha dichiarato Matteo Mariottini, direttore Acli. “La misura in sé non è sbagliata perché i livelli minimi retributivi in Italia sono bassi per alcuni settori, ma ci vogliono anche altre misure”.
La petizione
Per tutelare il lavoro domestico, usurante e con un’età media alta, le Acli di Bologna hanno lanciato anche una petizione con più di 100 mila firme sulla deducibilità per l’assistenza alla persona e l’equiparazione delle spese per il caregiver a quelle mediche. Una richiesta che segue l’esempio di paesi come la Francia, dove c’è il riconoscimento sugli assegni e sul credito di imposta a favore delle famiglie, in modo che possano recuperare una parte delle spese sostenute. D’altronde, un aumento salariale senza un conseguente adeguamento delle politiche di welfare rischia di pesare proprio sui diretti interessati.
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