La Società Italiana di Neurologia promuove la siesta pomeridiana, purché sia di breve durata, per i suoi benefici sul cervello.
La famosa “pennichella”, il riposo pomeridiano, farebbe bene al cervello. Ad una condizione, però: deve durare al massimo un quarto d’ora. Lo rivela uno studio che ha analizzato le possibili regole di una siesta salutare e che ha preso in considerazione circa 500mila persone di età compresa fra i 40 e i 69 anni.
Secondo la Società Italiana di Neurologia lo studio, pubblicato dalle università di Montevideo (Uruguay) e Londra e dal Center for Genomic Medicine di Boston e dal Broad Institute di Cambridge (Massachusetts), attesterebbe una predisposizione genetica alla siesta associabile ad un maggior sviluppo cerebrale e ad un minore rischio di Alzheimer.
Bastano 15 minuti di riposo
Secondo gli autori dello studio i benefici per il cervello si evidenziano con una siesta compresa fra 5 e 15 minuti. Se si supera mezz’ora, invece, si osserva un momentaneo deterioramento delle performance cognitive.
I soggetti coinvolti sono stati sottoposti anche a imaging cerebrale. È emerso che chi effettuava abitualmente un breve riposo a metà giornata presentava un volume cerebrale totale maggiore. Secondo gli scienziati questo è un indicatore della protezione fornita dal sonno pomeridiano contro il deterioramento del cervello, grazie alla compensazione della mancanza del sonno notturno. Non si è osservato invece un aumento del volume dell’ippocampo né un miglioramento della memoria visiva e della reattività.
Ritardare l’invecchiamento del cervello?
Sulla base dei risultati di questa ricerca, la Società Italiana di Neurologia ha suggerito che il riposo pomeridiano possa ritardare l’invecchiamento cerebrale dai 2,6 ai 6,5 anni, dato che normalmente il volume del cervello si riduce ogni anno dello 0,2- 0,5%.
Per appurarlo con certezza serviranno però altri studi, perché anche le aree cerebrali che controllano la vigilanza potrebbero essere influenzate dal riposo diurno. Così come serviranno ulteriori approfondimenti – secondo Alfredo Berardelli, presidente della Sin – per confermare un collegamento fra una tendenza genetica alla siesta e un minore rischio di Alzheimer.
© Riproduzione riservata