Abbiamo chiesto a nove colleghi – una piccola rappresentanza di tantissime storie importanti – di raccontarci la loro esperienza tra telelavoro, nuove funzioni, difficoltà e prospettive nella speranza di poter mettere nero su bianco almeno un pezzo della storia che ci ha legato tutti. Un racconto che alimenta il bisogno di ripensarsi e ripensare un futuro, quello del lavoro, che forse mai come oggi affronta una delle più grandi rivoluzioni dopo quella industriale.
“L’ossigeno della vita” di Emanuela
«Difficile, assurdo, surreale». Sono queste le tre parole con cui Emanuela Martinetti (50&PiùEnasco di Brescia), descrive l’ultimo anno. «Ho vissuto un periodo di smarrimento totale. Mai avrei pensato di lavorare fuori dall’ufficio e mi sono trovata in difficoltà per la mancanza di tutti i supporti tecnologici che servono per la nostra attività come gli scanner, la stampante, il telefono. Poi, piano piano, sono riuscita ad organizzarmi e a coordinarmi con i colleghi e la direzione generale. Ho imparato ad utilizzare mezzi che in passato non avevo mai utilizzato come Skype, Zoom e tanto altro».
«Personalmente, mi piacerebbe riprendere le riunioni e i corsi di formazione in presenza, ma credo che, anche in futuro, si limiteranno allo stretto necessario. A prescindere dall’aspetto sanitario, infatti, il fatto di implementare degli strumenti come i webinar, ad esempio, ha prodotto un risultato economico: dopotutto, muovere persone dall’intero territorio nazionale ha un costo notevole. Credo che questa esperienza ci abbia fatto riscoprire il valore del contatto umano, le relazioni sociali e soprattutto la salute e la libertà personale. Sono fattori importanti: l’ossigeno della nostra vita».
Le “parole difficili” di Laura
A riportarci la sua esperienza è anche Laura Benigni (50&PiùEnasco di Bergamo), doloroso epicentro della prima ondata di Covid-19 nel nostro Paese. Le tre parole che lei ha scelto per raccontare l’ultimo anno sono parole difficili: paura, solitudine, tristezza. «Inizialmente aver lavorato da casa per un periodo e non avere tutti i mezzi per affrontare le problematiche riscontrate dalla clientela è stato difficile. Superato il primo momento di smarrimento, però, sono riuscita ad andare in ufficio e a coordinare il lavoro mio e quello dei miei colleghi che lavoravano da casa. A livello lavorativo, infatti, credo che questa esperienza ci abbia insegnato ad essere più organizzati e, a livello umano, ad essere più vicini alle persone. Non so se questo nuovo assetto rimarrà stabile nel tempo, ma credo, ad esempio, che la gestione degli appuntamenti con chi ha bisogno del patronato sia molto più semplice e garantisca un servizio migliore. Anche se a me, onestamente, manca il contatto fisico: la stretta di mano o la conversazione a viso scoperto che rendeva tutto più naturale».
La realtà inimmaginabile di Stefania
Tra le voci di questo racconto ce n’è una che viene dal primissimo centro che ha conosciuto il Coronavirus: la città di Lodi. A raccontare i cambiamenti lavorativi di questa realtà è Stefania Citarelli (50&PiùEnasco di Lodi): «Le prime criticità sono state sicuramente legate alla fase iniziale dovute al dover gestire una situazione imprevista e mai conosciuta prima. Una situazione nuova sotto tutti i punti vista e anche preoccupante: non sapevamo se potessimo stare aperti oppure no, e se potessimo ricevere le persone. All’inizio si pensava che fosse tutto concentrato nella provincia di Lodi quindi anche i nostri utenti erano molto preoccupati e confusi. Una volta chiarite le modalità lavorative, però, la complessità si è trasferita nel gestire un ufficio normalmente aperto al pubblico e abituato ad attività di sportello che ha dovuto svolgere tutto da remoto. Oggi sappiamo che questa nuova modalità potrà essere mantenuta per alcuni servizi perché decisamente performante e in grado di ottimizzare i tempi e i risultati anche se è necessario tenere in considerazione il livello di informatizzazione degli utenti, spesso non omogeneo e, a volte, persino assente».
Quando le chiediamo se c’è qualcosa della precedente routine lavorativa che le manca e vorrebbe riprendere, Stefania ci risponde così: «Mi piacerebbe tornare a vivere l’ambiente di lavoro senza i presidi di sicurezza. Mi manca molto la stretta di mano con il cliente: vorrei togliere mascherina e lo schermo protettivo per tornare a quella normalità. Ormai siamo abituati a queste barriere, ma sono innaturali e anche se necessarie, non vedo l’ora di vivere il momento in cui saranno solo un lontano ricordo. Credo che questa esperienza, però, ci stia insegnando molto sia a livello lavorativo che personale. Stiamo diventando più creativi, più flessibili, personalmente mi sento anche più aperta e disponibile, più attenta e sensibile alle difficoltà e alle diversità. Se dovessi descrivere tutto questo con tre parole direi: inimmaginabile, istruttivo, opportunità».
Per Claudia ora “tutto è possibile”
Anche per Claudia Cinelli (50&PiùEnasco di Pistoia) una delle parole che descrive meglio l’anno passato è “opportunità”. «Aggiungerei anche resilienza e collaborazione. La criticità maggiore a inizio lockdown, infatti, è stata quella di organizzare una modalità operativa nuova ed efficace. È stato necessario spronare le persone, anche quelle meno preparate, ad utilizzare le mail per inviarci documenti e dialogare con noi. Abbiamo affrontato ogni ostacolo, supportati dalla Struttura, armandoci di pazienza e venendo incontro ai bisogni delle persone, aiutandole nelle richieste e facendo valere i loro diritti. Questo nuovo assetto, però, ci ha aperto nuove possibilità: credo, infatti, che continueremo a svolgere la nostra attività in presenza su appuntamento, ma anche via mail e WhatsApp e informeremo i nostri utenti attraverso i canali social. In questo contesto, inoltre, ritengo sempre più utile e necessario investire sulle risorse umane e su una formazione costante su tutti i fronti: questo ci permetterà di gestire al meglio i contesti lavorativi in base agli eventi esterni».
«Gli insegnamenti che porteremo con noi? Dal punto di vista lavorativo, sicuramente abbiamo imparato a pensare che “tutto è possibile”, che possiamo adattarci alle situazioni e al contesto che cambia velocemente, prendendo consapevolezza delle nostre capacità e dell’importanza del nostro ruolo nel contesto sociale. Sul piano umano, invece, penso che questa esperienza ci voglia insegnare ad essere più fraterni gli uni con gli altri, abbandonando una visione egoistica della vita».
Il Primo Maggio di 50&Più
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