Ogni anno, nella seconda settimana di ottobre, vengono annunciati i vincitori di uno dei premi più ambiti al mondo: il Nobel. Così, anche questo 2020 ha visto diramare, tra il 5 e il 12 ottobre, i comunicati con i nomi dei vincitori per la Fisica, la Chimica, la Medicina, l’Economia, la Letteratura e la Pace.
Quest’ultima edizione ha richiamato grande attenzione, soprattutto per la cerimonia che lo scorso mercoledì 7 ottobre ha visto assegnare il Premio Nobel per la Chimica alle scienziate Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna.
Crispr, l’invenzione da Nobel
L’Accademia Svedese delle Scienze, infatti, ha consegnato il riconoscimento alla ricercatrice francese Emmanuelle Charpentier e alla collega americana Jennifer Doudna per la loro capacità di “riscrivere il codice della vita”. La loro invenzione si chiama “Crispr”, un metodo perfezionato e modificato nell’ultimo decennio per riuscire a riscrivere le basi del DNA. Una scoperta che potrebbe portare alla cura di molte malattie genetiche. Le prime sperimentazioni sono già in corso sulle patologie cancerogene.
Il nome dell’invenzione, Crispr, è piuttosto complicato ed è l’acronimo inglese di Clustered Regularly Interspaced Short Palindromic Repeats (che in italiano si potrebbe tradurre con “brevi ripetizioni palindrome raggruppate e separate a intervalli regolari”, ndr). Per questo, in ambienti scientifico-accademici, si è guadagnato soprannomi più semplici come il “copia e incolla” o il “taglia e cuci” del DNA. Il Nobel per questa scoperta, in effetti, era già atteso. Non è raro, infatti, che a Stoccolma si premino scoperte di vari decenni prima, ormai consolidate. Già cinque anni fa, infatti, Crispr aveva ricevuto l’attenzione delle principali riviste scientifiche che la definivano “la scoperta dell’anno”. E anche se non viene ancora utilizzata direttamente sull’uomo, negli ultimi anni è stata applicata alla ricerca su modelli vegetali, animali e su microrganismi.
Gender gap in quel di Stoccolma
I riflettori, però, non sono stati puntati solo sulla scoperta, ma anche sulle due ricercatrici che l’hanno fatta. La storia del gender gap che gira attorno al Premio Nobel, infatti, non è nuova. Già nel 2018 era uscito un reportage sulla rivista scientifica Nature in cui si denunciava la disparità di genere nell’assegnazione dei Nobel. Dalla prima edizione del 1901 allo scorso anno l’Accademia Svedese ha assegnato 892 riconoscimenti. Di questi solo 48 sono andati a donne. La branca più “femminile” è senz’altro la Letteratura che tocca il numero massimo di vincitrici per un totale di 14. Un risultato decisamente basso se confrontato con la controparte maschile. Negli ultimi anni, anche il Premio Nobel per la Pace ha avuto la sua “quota rosa” e dal 2000 lo hanno vinto sei donne.
Ma i campi scientifici rimangono appannaggio della parte maschile: su 605 premiati fino al 2019, solo 18 erano donne. Una situazione in cui non sono nuove nemmeno le storie di ricercatrici che sono state private di questo prestigioso riconoscimento e che lo hanno ammirato sul curriculum dei colleghi uomini con cui hanno diviso le scoperte. È la storia di Jocelyn Bell, la scopritrice della prima Pulsar, che nel 1974 si vide sfilare il Nobel assegnato ad Antony Hewish con il quale lavorava.
Charpentier e Doudna, le vincitrici del Premio
Il Premio Nobel per la Chimica non fa eccezione. Ad averlo vinto fino al 2020 sono state solo cinque donne e in questa edizione, per la prima volta, lo hanno diviso le due ricercatrici. «Le donne possono lasciare un segno importante nella scienza ed è fondamentale che lo sappiano le ragazze che vogliono lavorare in questo ambito», ha sostenuto Emmanuelle Charpentier. «Spero che questo riconoscimento sia un messaggio positivo per tutte loro. La nostra speranza è che questo Nobel dimostri alle più giovani che le donne possono avere un impatto attraverso le ricerche che svolgono».
La ricercatrice francese, che oggi ha 52 anni, ha intrapreso la propria carriera accademica studiando microbiologia, biochimica e genetica e viaggiando tra l’America e l’Europa. Nel 2009 si è trasferita in Svezia dove è stata nominata docente associato all’Università di Umeå. Ed è lì che ha preso le redini del gruppo di ricerca che ha collaborato con quello di Jennifer Doudna, la collega di 56 anni. L’americana, dopo gli studi all’Università di Harvard, si è trasferita nell’Università della California a Berkeley, dove lavora attualmente. Dopo tre anni di collaborazione con Charpentier, nel 2012, le due ricercatrici hanno proposto l’uso della tecnica Crispr per l’editing del genoma per il quale hanno vinto il Nobel.
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