Pieve Santo Stefano, posta su quella lingua di Toscana che confina con Umbria ed Emilia-Romagna, è conosciuta come la “Città del diario”. Lo recita il cartello all’ingresso del paese e lo conferma il museo che custodisce al suo interno più di 7.500 diari di persone che, raccontando la propria quotidianità, testimoniano le vicende della storia nazionale e non solo
Libero Saverio aveva poco più di 20 anni quando è stato costretto a interrompere gli studi in Legge a causa dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Per sfuggire alla chiamata alle armi, si è rifugiato in Svizzera dove si è arruolato tra le file partigiane in Valle D’Aosta e nel Canavese. È un’esperienza che lascia il segno e detta la linea di ciò che sarà la sua carriera. Saverio Tutino, infatti, diventa giornalista e successivamente uno dei maggiori esperti occidentali in materia di Rivoluzione cubana e fermenti rivoluzionari dell’America Latina. La voglia e la capacità di raccontare le storie del mondo e delle persone che lo vivono diventano da subito centrali e, otto anni più tardi, contribuiscono alla creazione di uno spazio culturale in cui accogliere le scritture diaristiche e autobiografiche degli italiani e non solo. Fonda così l’Archivio Diaristico Nazionale a Pieve Santo Stefano, comune italiano di circa 3.000 abitanti, che nel 2013, due anni dopo la sua morte, vede la nascita del Piccolo museo del diario.
La Città del diario
Oggi all’ingresso del Paese svetta un cartello giallo con su scritto “Città del diario”, un invito a tutti quei visitatori che incuriositi entrano a Palazzo Pretorio. Chi crede di trovare un museo o un’esposizione cambia idea in fretta. Saliti i sedici gradini numerati, infatti, si sentono le voci, quelle che rappresentano il “fruscio degli altri” di cui amava parlare Saverio Tutino, e sulle pareti si possono leggere memorie ed estratti. È qui che il percorso si fa avvolgente e conduce alle stanze della memoria, trasformando la visita in un’esperienza unica fatta di suoni, luci e parole che dialogano con il visitatore. Negli anni, a fare quest’esperienza, sono stati anche personaggi famosi come Ettore Scola, Carlo Lucarelli, Neri Marcorè, Simone Cristicchi, Vinicio Capossela, Walter Veltroni, Bianca Berlinguer, Pupi Avati, Paolo Borrometi, Dario Franceschini e tanti altri. Spettatori di oltre 9.000 memorie di persone comuni che hanno raccontato la storia d’Italia da un punto di vista assolutamente inedito. Le voci dei singoli si fondono così in un racconto collettivo e universale che narra i cambiamenti culturali, sociali e politici del nostro Paese.
Giovani e senior: scrittori di diari
Scrivere un diario, però, è un’attività sempre più rara. Secondo una ricerca britannica condotta nel 2017 da Pen Heaven, brand di strumenti per la scrittura, solo il 23% della popolazione tiene regolarmente un diario. Un’attività praticata da 1 donna su 4 e da 1 uomo su 5. Il dato interessante, però, è quello legato all’età degli “scrittori”. Secondo lo studio, infatti, i ragazzi tra i 18 e i 34 anni sono quelli più propensi a tenere un diario, nonostante siano anche i più avvezzi all’uso della tecnologia. Il trend subisce poi un calo nelle fasce che vanno dai 25 ai 64 anni, per aumentare di nuovo nei senior over 65. Le motivazioni di questo andamento potrebbero essere legate alle abitudini di vita che tra i 35 e i 64 anni spesso coincidono con quelle fasi di massimo impegno professionale e di gestione familiare. Ma, secondo Pen Heaven, gli over 65 tornerebbero a riscoprire il piacere della scrittura anche volgendo uno sguardo al futuro e pensando all’eredità culturale e familiare che vorrebbero lasciare ai posteri.
Clelia Marchi, la vita in un lenzuolo
È ciò che, in un certo senso, è accaduto anche a Clelia Marchi, contadina di Poggio Rusco, in provincia di Mantova, che nata nel 1912 e rimasta vedova a 72 anni, inizia a scrivere per continuare a condividere i suoi pensieri con il marito scomparso. Lo fa, però, utilizzando il lenzuolo più bello che ha, memore di ciò che le aveva raccontato la maestra a suo tempo sugli Etruschi, che avvolgevano i morti in lenzuoli scritti. La sua opera diventa, così, un sudario di 184 righe che si apre con un invito ai lettori: “Care persone fate tesoro di questo lenzuolo che c’è un po’ della vita mia; è mio marito; Clelia Marchi 72 anni ha scritto la storia della gente della sua terra, riempendo un lenzuolo di scritte, dai lavori agricoli, agli affetti”. Un’opera unica, diventata l’emblema dell’archivio di Pieve Santo Stefano, a cui oggi è dedicata l’ultima sala del Piccolo museo del diario.
Il vivaio della memoria
Il percorso museale è la raccolta di un presente scritto che oggi è passato, di storie comuni ancora capaci di emozionare. Con il progetto sviluppato da Dotdotdot, studio multidisciplinare di Milano che ha curato la digitalizzazione dell’Archivio, è stato possibile costruire un museo ispirato al libro Il paese dei diari di Mario Perrotta (Terre di mezzo Editore, 2009). Un vero e proprio “vivaio della memoria”, come lo definiva Saverio Tutino: un luogo in cui la memoria parla ed è disposta a vivere e rivivere.
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