Difficile smettere di fumare, lo stress impone la salvifica “valvola di sfogo”. Impossibile svolgere regolare attività fisica, gli impegni della giornata non lo permettono e, poi, mancano le forze per affrontare un allenamento in palestra. L’alimentazione sana è un miraggio, già è tanto riuscire a prepararsi spuntini da sopravvivenza, che di salutare hanno ben poco. I controlli medici sono rimandati a tempi migliori e se insorge un disturbo si preferisce far finta di niente.
È così che i caregiver delle persone malate di cuore finiscono per compromettere la loro stessa salute cardiovascolare. Ingrassano, dormono male, si trascurano e in poco tempo da persone che curano diventano loro stessi pazienti da curare. Quando ci si dedica anima e corpo ad una persona malata, tutte le buone regole della prevenzione vengono regolarmente ignorate.
Il deleterio circolo vizioso è perfettamente descritto sul Canadian Journal of Cardiology: i caregiver dediti ai loro cari finiscono per somigliargli anche nella malattia, sviluppando ipertensione e disfunzioni metaboliche.
Gli autori dello studio suggeriscono agli esperti di politiche sanitarie di inaugurare un nuovo tipo di percorso terapeutico, concentrato sulla coppia “caregiver-paziente” nel suo complesso, piuttosto che esclusivamente sul paziente.
Un programma del genere è già stato sperimentato con successo in Canada. Si chiama “Healing Hearts Together”, ovvero Curare il cuore insieme, e si basa sulla convinzione che stare accanto a un malato di cuore, condividendo con lui il timore di un evento improvviso, procuri un’elevata dose di stress con inevitabili ripercussioni sulla salute.
Il programma canadese consiste in sedute di coppia durante le quali, dopo aver esaminato le informazioni sulla salute di entrambe le persone, si consigliano strategie di comunicazione e di condivisione dei bisogni reciproci che aiutano la gestione della malattia e migliorano il rapporto tra caregiver e paziente.
Circa il 40% dei caregiver, più della metà dei quali sono donne, ammettono di sentirsi schiacciati dal carico psicologico, emotivo, fisico ed economico del loro ruolo. Questa condizione è indubbiamente un fattore di rischio per la loro salute cardiovascolare.
Particolarmente fragili sono poi i partner, mariti e mogli, dei pazienti. Il loro è veramente un calvario: i coniugi caregiver hanno livelli più elevati di depressione, maggiori oneri fisici e finanziari, tensioni nella coppia, disturbi del sonno.
«Nel loro insieme, gli interventi basati sulle coppie in un programma di riabilitazione cardiaca possono essere un approccio efficace e appropriato per ridurre il disagio del caregiver e migliorare i risultati clinici di entrambi. È necessario oramai cominciare a prendersi cura di coloro che si prendono cura dei loro partner e migliorare la salute di entrambi. È importante che gli operatori sanitari riconoscano l’onere della cura e agiscano in modo sensibile e strategico per affrontare queste sfide», affermano gli autori dello studio.
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