Ci lascia a ottantasei anni Bruno Pizzul, decano dei telecronisti sportivi, voce indimenticabile della nazionale di calcio dal 1986 al 2002.
Avrebbe dovuto fare il calciatore, Bruno Pizzul. Molto meglio e molto più a lungo di quanto non gli sia riuscito per davvero. Corazziere friulano, nato a Udine nel 1938 ma cresciuto a Cormons, in provincia di Gorizia, spiccava per stazza (oltre un metro e novanta di altezza) e per doti atletiche. Giocò all’altro capo dell’Italia, nel Catania, poi nell’Ischia (dove la statura gli fruttò il soprannome di “canna da zucchero”) e nell’Udinese, ma la sua carriera si concluse presto a causa di un infortunio al ginocchio. La carta di riserva si rivelò il suo autentico appuntamento col destino: laureato in giurisprudenza, nel 1969 vinse un concorso Rai riservato a giovani radio-telecronisti friulani e l’anno successivo debuttò raccontando una partita a cui giunse con un quarto d’ora di ritardo. Per fortuna la partita era trasmessa in differita e Pizzul salvò telecronaca e carriera. Che si impennò rapidamente, portandolo dai campi italiani a quelli europei e mondiali, a commentare le competizioni per squadre nazionali. Cominciò coi campionati europei del 1972 e si occupò degli avversari dell’Italia fino a quando, in occasione dei mondiali di calcio del 1986, disputati in Messico, divenne telecronista ufficiale della nazionale italiana.
La voce dei mondiali del ’90
Nando Martellini, il suo illustre predecessore, accusò un malore dovuto all’altura e Pizzul gli subentrò legando la sua voce alle sorti dell’Italia fino ai mondiali di Corea e Giappone del 2002. Non ha avuto la fortuna di raccontare nessuna vittoria della nazionale ma ha commentato momenti memorabili. Nei mondiali del 1990, quelli giocati proprio in Italia, ha dato voce all’exploit di Totò Schillaci e alla rete formidabile di Roberto Baggio contro la Cecoslovacchia, che trasformò il giovane talento vicentino in un fuoriclasse di livello internazionale.
Nella sua telecronaca (consegnata all’eternità, come ha scritto lo stesso Roberto Baggio per salutarlo) quella rete diventa un “grandissimo gol”, una “prodezza eccellente”, un “pezzo da antologia calcistica”. La voce di Bruno Pizzul conquista gli spettatori televisivi: calda, imperfetta ma paterna, confortante e “confortevole”. E soprattutto moderata, legata a un’idea ancora “istituzionale” della narrazione. Una moderazione salvifica, col sottinteso “stiamo sempre parlando di calcio” e l’altro “ne ho viste tante da non esaltarmi così facilmente”.
Quando Pizzul chiamò Baggio solo per nome
Allo stadio Heysel di Bruxelles, nel 1985, quella moderazione divenne distacco dolente nel commentare la finale di Coppa dei Campioni vinta dalla Juventus dopo la tragedia della morte di 39 tifosi italiani nel prepartita. E invece nell’istituzionalità si aprì una crepa durante i mondiali del 1994, quando, raccontando le prodezze a ripetizione di Baggio sui campi statunitensi, Pizzul cominciò a chiamarlo soltanto col nome, Roberto, come un figlio, un fratello, un profeta calcistico, suo e di tutti gli italiani. Fu la consacrazione di un tratto “paterno” dello stile del telecronista, che insieme alla chiarezza, all’eleganza e alla professionalità ne rendono indelebile il ricordo e luminosa l’eredità.
Bruno Pizzul, giornalista a tutto tondo
Giornalista a tutto tondo, conduttore a più riprese di programmi sportivi sulla Rai (da “Domenica Sprint” a “La domenica sportiva”), cronista al di là del calcio, Pizzul è apparso anche al cinema: interpretando se stesso nei film “L’arbitro” con Lando Buzzanca e “Fantozzi, il ritorno” e doppiando, nella versione italiana, le telecronache del film “Pelé”.
È mancato il 5 marzo, a pochi giorni dal suo ottantasettesimo compleanno, circondato dall’affetto della moglie Maria, dei tre figli e degli undici nipoti. Il pezzo di vita di cui andava più fiero… “È finita”, avrebbe detto lui: parole che gli è toccato più volte pronunciare, in tono amaro, al termine delle avventure della nazionale di calcio. Ma alla sua, di avventura, calza meglio la frase con cui rimarcava le azioni di gioco più straordinarie. Semplicemente, “tutto molto bello”.
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