Nell’ex palazzo della Banca d’Italia è proposta la prestigiosa collezione di due mecenati, Venceslao Di Persio e Rosanna Pallotta. Un’esposizione che mostra come il XIX secolo abbia offerto anche in Italia esiti di qualità elevatissima, capaci di leggere il reale e proporre nuove ricerche espressive.
Il primo acquisto di Venceslao Di Persio in ambito pittorico è datato 1987 ed è subito un capolavoro. Parliamo del Ritratto di Mrs Fly, dipinto 80 anni prima dal romano Antonio Mancini. Allora poco frequentato dai collezionisti e oggi ricercato dai musei di mezzo mondo. Da allora il mecenate pescarese, validamente affiancato dalla moglie Rosanna Pallotta, ha assemblato una collezione di 260 opere di enorme pregio. Un’“amorosa folla di maestri dell’Ottocento stretti nelle stanze di un moderno appartamento di Pescara”, come annotava Vittorio Sgarbi.
Il Museo dell’Ottocento a Pescara
Oggi, dopo un importante restauro del palazzo che fu sede della Banca d’Italia, e il superamento degli infiniti intoppi burocratici nostrani, quella collezione è messa a disposizione del pubblico nel più importante polo dedicato al XIX secolo del centro-sud Italia. Il Museo dell’Ottocento – Fondazione Di Persio-Pallotta vuole anche diventare riferimento per esposizioni temporanee relative a quel periodo storico. Sono già annunciate per l’anno prossimo le monografiche dedicate ad Antonio Mancini (di cui il museo propone un’intera sala, con altri 16 dipinti, tra cui i preziosi Prevetariello e Verità, entrambi del 1873) e Vincenzo Gemito.
Le 15 sale del Museo Dell’Ottocento
Nelle 15 ampie sale, suddivise su tre piani, ritorna a noi quello che è stato per decenni considerato il “secolo più basso” nella storia della nostra arte. Quello in cui si concretizzò in forma definitiva il passaggio del centro di riferimento culturale dell’Occidente da Roma e l’Italia tutta a Parigi e dintorni. Quello in cui il gusto italiano non è riuscito a fare il “salto di qualità” che avrebbe potuto permettere il diffondersi di nuove visioni artistiche, di nuove correnti, non solo la ricerca affannosa di inseguire il “carro del vincitore”, su cui innalzavano la bandiera della novità i vari Courbet, Manet, Monet, Seurat, Cézanne e compagni.
Il Risorgimento sulla tela
Naturalmente in Francia si viveva la Restaurazione dopo la grande rivoluzione e le novità napoleoniche, mentre l’Italia era impantanata nel Risorgimento nazionale. Una possibilità propulsiva offerta a molti e alla borghesia montante la prima, una ricerca di sé stessi e della propria identità come nazione il secondo, che non permetteva le “distrazioni” di un’arte innovativa. Eppure il percorso museale ci mostra come l’arte italiana fosse allora il medium più efficace – potremmo dire “nazional popolare”, prendendo a prestito un’aggettivazione utilizzata per un altro mezzo di comunicazione di massa – per mettere gli italiani, ancora profondamente divisi in ogni ambito, di fronte a una storia recente caratterizzata sì da drammatiche tensioni ma soprattutto piena di aspirazioni e sogni comuni.
Dal vedutismo di Napoli agli artisti Oltralpe
Così nel Museo dell’Ottocento si passa dal vedutismo della Napoli internazionale di inizio secolo – spiccano le tele di Joseph Rebell – alla “Scuola di Posillipo”. Da Domenico Morelli, l’autore della Culla di Vittorio Emanuele III conservata alla reggia di Caserta, alla “Scuola di Resina”. Da Francesco Paolo Michetti, Vincenzo Caprile, Giuseppe Casciaro, Vincenzo Irolli, Vincenzo Volpe, alla sala monografica su Michele Cammarano, con l’importante Incoraggiamento al viziodel 1868. Attento anche ai linguaggi nelle diverse regioni italiane nella seconda metà dell’800, con opere degli scapigliati e dei macchiaioli, il percorso chiude proponendo gli italiani presenti Oltralpe – De Nittis, Zandomeneghi, i fratelli Palizzi – e due sale riservate alla pittura francese. Gustave Courbet e i protagonisti della “Scuola di Barbizon” e i pre-impressionisti Jules Dupré, Paul Huet e la protofemminista Rosa Bonheur, prima donna a ricevere la Legion d’Honneur.
Mobili d’epoca, sculture e anche cornici
Last but not least, oltre alla presenza di alcune statue, di vari mobili d’epoca e una biblioteca d’arte, va sottolineata l’attenzione particolare che i due mecenati pescaresi hanno sempre dato alle cornici, che considerano contestuali all’opera e che hanno scelto con enorme cura tra ricche realizzazioni artigianali che vanno dal XVI allo stesso XIX secolo.
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