Il mare, arrivarci, arrivare in vista del mare, da quando ho memoria, mi comunica un senso di sollievo, di esenzione dal quotidiano. Il mare è sempre sorpresa, rottura della routine, vacanza.
Poterlo vedere è un privilegio: lo vedete monetizzato dagli alberghi, dove le camere “vista mare” costano di più.
Da bambina ci stavo tre mesi, al mare.
Da quando a giugno chiudevano le scuole a quando al primo ottobre le scuole riaprivano.
Arrivavo a Torino alla fine di settembre, in tempo per comprare i quaderni e l’astuccio con le penne.
Arrivavo cambiata: con i capelli più chiari e la pelle più scura.
Ma soprattutto con il mare negli occhi, nel corpo, nell’anima.
La montagna, per la precisione Klavier e Mont Genevre, ma poi Crissolo, Sestriere, Bardonecchia sono state le sudate tappe della mia liberazione dalle domeniche dell’obbligo. Fine dei passaggi rapidi in chiesa (a Torino prima di partire, in qualche chiesetta di montagna se volevamo farci benedire, all’arrivo). Ho rifiutato la chiesa e la montagna d’un botto, d’un soprassalto. Tutte e due insieme. Ho smesso di far finta di pregare e di far finta che mi piacesse sciare. Con un unico no, intorno ai 12 o 13 anni.
Nessuno ha insistito.
Fine della messa, fine della gita.
La montagna l’ho lasciata senza rimpianti.
Il mare l’ho sempre salutato con un’esplosione di gioia.
Avevamo un piccolo appartamento bruttino nel condominio Primavera a Laigueglia. C’erano quelle assurde regole: non si va subito al mare, non il giorno dell’arrivo, bisogna “comprare l’aria”, per fare il bagno bisogna aspettare tre ore dopo la colazione, “se no ti viene la congestione”. Non potevi staccarti troppo dalla riva. “Se no affoghi”, dovevi asciugarti subito “se no ti raffreddi”. La famiglia faceva di tutto per farti odiare anche il mare.
Ma il mare non se ne sta là fermo e ieratico, paziente e freddo come la montagna. Il mare reagisce.
Il mare è trasgressione dalle regole della terra, ha regole sue.
E io le sapevo. Le so.
Ti butti in acqua e lo capisci subito che sei entrata in un altro elemento.
Ti stendi e galleggi, ogni contrattura si scioglie. Nuotando il respiro, come in un esercizio zen, dà il ritmo alla liberazione. Dalle scorie della vita di terra. Tutti quei pensieri piccoli e pesanti, meschini e ipocriti che si affollano nella mente.
Stare nel mare, guardarlo, sfiorarlo, tuffarmici dentro, contrastarne la forza a bracciate mi è sempre sembrato un privilegio inaudito, e un’avventura spirituale. Il mare è la porta d’accesso a una vita altra. Con altre celebrazioni, un’altra gerarchia, altri rituali.
Il mare ti spoglia dall’orpello dei vestiti, impone la nudità che è democratica, polverizza il vantaggio di chi può comprarsi tulle e strascichi e velluti. E chi no.
Lo affronti nuda, l’ingresso nell’altro elemento.
Il mare è sempre un ritorno, nuotando ritorni all’armonia prenatale.
Quando ti muovevi lenta nel tiepido liquido amniotico, immersa nel ventre materno.
Il mare consente un sentimento ormai raro e perciò pregiato: il senso della lontananza. Siamo circondati da strumenti che la annullano, la lontananza. Siamo sempre disponibili, visibili, connessi.
Nel mare non puoi tenerteli addosso, i dispositivi che annullano la distanza. Entri da sola. E non sei reperibile finché non esci.
Io ho sempre avuto bisogno del mare perché il mare si muove ininterrottamente, quindi io posso stare ferma.
Seduta su uno scoglio, di fronte a quella distesa senza margini e senza confini, riesco a spegnere l’ansia, la fretta che ha connotato (e rovinato) la mia vita.
Vivo parecchi mesi l’anno circondata dal mare.
Con l’aggravarsi dell’età, intorno ai 55 anni, soglia difficile da superare per me che guardo sempre avanti, ho scelto l’isola di Stromboli.
Da lontano l’isola è un perfetto triangolo nero. Nitida. Primitiva. Apparentemente deserta. Incappucciata di nuvole. In avvicinamento le nuvole si riducono a un singolo sbuffo di fumo, in corrispondenza con le bocche del vulcano. Se ti avvicini ancora compaiono le case, bianche come ciottoli lavorati dalla risacca, allineate alla base del triangolo. Quasi un deposito del moto ondoso.
Ho scelto di vivere a Stromboli primavera inoltrata, estate, una porzione d’autunno, per impedire al “tempo/ time”, il tempo di città, quello degli orologi, di costringermi a contare i giorni che mancano alla fine, per consegnarmi al tempo “weather”, quello della natura. Che è ciclico. E ti regala ogni anno la bella stagione.
Lo consiglio a tutte le persone che attraversano, con qualche difficoltà o malinconia, il terzo tempo della vita, di avvicinarsi al mare. Io sono stata fortunata. E ho un lavoro che mi permette di stare dove voglio. Ma il mio è un privilegio che il raggiungimento dell’età della pensione consente a tutti.
Spostare l’asse della propria vita vicino al mare non è “una cosa da ricchi”. Ti pelano nei canonici mesi estivi, ma non in bassa stagione. E il mare diventa profondamente bello soprattutto in bassa stagione.
Siete arrivati nella penultima o ultima fase della vostra vita. Avete voglia di stare ferme e fermi, dopo esservi sbattuti e sbattute per sessant’anni. Bene: il mare si muove in continuazione, cambia colore, consistenza. È calmo e color vetro, poi scosso dalle onde, è viola come un vecchio collerico dalle guance segnate dal vino. Si ritira spostando i ciottoli nel respiro sonoro della risacca oppure cozza contro le rocce alzando una trina di spruzzi, si muove lui, si muove in continuazione, il mare, quindi potete stare fermi voi. Seduti davanti allo spettacolo della natura che si sveglia, si placa, rimonta.
Lasciare la città quando non si ha più voglia di correre, quando si ha più bisogno di capire chi siamo e meno di accumulare gratificazioni, soldi, premi, innamorati o altro, lasciare la città, dicevo, è un gesto simbolico e, nello stesso tempo, una scelta di vita. Una piccola rivoluzione esistenziale che vi renderà sereni come avreste sempre desiderato.
Lidia Ravera è nata a Torino. Giornalista, sceneggiatrice e scrittrice, ha pubblicato trenta opere di narrativa tra cui “Porci con le ali” (Bompiani 1976), “Sorelle” (Rizzoli 1994), “L’eterna ragazza” (Rizzoli 2006), “La guerra dei figli” (Garzanti 2009) e “A Stromboli” (Laterza 2010). Gli ultimi romanzi “Piangi pure”, “Gli scaduti”, “Il terzo tempo”, “Avanti, parla” sono nel catalogo Bompiani. Ha lavorato per il cinema, il teatro e la televisione.
© Riproduzione riservata