Cresce il lavoro domestico in Italia. Anche se il settore continua a detenere il triste primato di maggior percentuale di lavoratori in nero. L’incertezza generata dalla pandemia spinge però sempre più famiglie a scegliere la certezza di un contratto di lavoro regolare per chi si occupa dei propri cari o della propria abitazione.
È di più di 16 miliardi, l’1,1% del PIL, il contributo alla ricchezza del nostro Paese dato dalle famiglie italiane che hanno assunto regolarmente nel 2020 colf, badanti, baby sitter. Un sostegno non da poco alle casse dello Stato che, nonostante la crisi pandemica, ha consentito a tutti noi di risparmiare quasi 12 miliardi di risorse pubbliche. A rilevarlo, il III Rapporto annuale sul lavoro domestico a cura dell’Osservatorio Nazionale DOMINA sul Lavoro Domestico, che ha fotografato il settore nell’emergenza del 2020.
Oltre 2 milioni i domestici. Ma solo 900 mila sono regolari
I lavoratori domestici in Italia nel 2020 sono stati 2,1 milioni. Di questi, 920 mila sono lavoratori regolari (nel 2019 erano 849 mila). Più di 1 milione invece, secondo le stime dell’Osservatorio DOMINA, lavorano in nero. Il tasso di irregolarità del settore arriva al 57%, ben al di sopra della media dei principali settori lavorativi (12,6%) e anche del secondo settore per irregolarità, l’agricoltura, che arriva al 24,1%. “Questo fenomeno – spiega il Rapporto – ha un impatto diretto sulla sicurezza dei lavoratori e dei familiari, dato che – evidentemente – i lavoratori senza contratto non possono accedere alla rete di formazione e tutela che invece protegge i domestici regolari”.
Ad occuparsi della cura delle famiglie e delle abitazioni sono per la maggior parte donne (87,6% del totale), stranieri (nel 68,8% dei casi), soprattutto dell’Est Europa (il 24,8% proviene dalla Romania, il 14,6% dall’Ucraina). Oltre la metà dei lavoratori domestici (52,7%) ha più di 50 anni. La classe di età più numerosa (34%) è quella 50-59 anni, seguita dagli over 40 (26,6%) e dagli over 60 (18,7%).
In aumento le famiglie che assumono
Nel 2020 sono stati oltre 992 mila i datori di lavoro domestico (108 ogni 100 lavoratori), in aumento rispetto all’anno precedente (+8,5%). Anche in questo caso va considerata la componente irregolare – evidenzia il report -, per cui si può stimare un totale di 2,3 milioni di datori di lavoro domestico e 4,5 milioni di persone complessivamente coinvolte. Il 94,9% è italiano, mentre il 57,1% è donna. Il 31,5% dei datori ha meno di 60 anni, il 35,9% più di 80.
Nell’ultimo anno, in tutte le regioni italiane si è registrato un aumento del numero di datori di lavoro domestico, anche se con differenze fra le regioni. Si passa infatti dal +3,1% del Lazio al +21,0% della Basilicata, a fronte di una media nazionale del +8,5%. Oltre un terzo dei datori di lavoro si concentra in Lombardia e nel Lazio (complessivamente il 34,7%).
L’ “effetto Covid” sul lavoro domestico
Nel 2020 sono state assunte 124 mila persone in più rispetto a quelle licenziate. Nel 2019 il saldo era stato di 15 mila. In particolare, l’Osservatorio DOMINA ha rilevato un picco nel mese del primo lockdown, marzo 2020, e poi nei successivi mesi di ottobre e novembre, quando sono state adottate nuove restrizioni anti-Covid e si sono verificati i primi effetti delle nuove norme per la regolarizzazione dei lavoratori stranieri.
Rispetto al 2019, inoltre, nel 2020 il saldo assunzioni-cessazioni è stato trainato dalla componente “colf” più che da quella “badanti”. Questo potrebbe significare secondo DOMINA che “le restrizioni dovute alla pandemia hanno influito sulle scelte delle famiglie, le quali hanno preferito avviare nuovi contratti di lavoro per avere la certezza della presenza del lavoratore. A questo si è aggiunta la “sanatoria” (inserita nel decreto “Rilancio” n. 34/2020), che però produrrà effetti più massicci nel 2021”.
Dalle famiglie un contributo determinante al welfare e alla ricchezza nazionale
E’ fuori di dubbio il sostegno al welfare pubblico dato dalle famiglie datrici di lavoro domestico, sia sotto il profilo sociale che economico. “La quota a carico delle famiglie è quindi determinante per il mantenimento del sistema assistenziale italiano – si legge nel Rapporto -, nonostante la spesa pubblica italiana per la componente anziana sia molto elevata”.
Nonostante il calo dovuto alla crisi, nel 2020, le famiglie datrici di lavoro domestico hanno contribuito all’1,1% del PIL. Il valore aggiunto prodotto è pari a 16,2 miliardi di euro.
In particolare, per pagare gli stipendi dei lavoratori domestici regolari le famiglie nel 2020 hanno speso circa 5,8 miliardi, 1 miliardo di contributi e 4 miliardi di TFR, per un totale di 7,2 miliardi. Sommando a questa cifra una stima delle retribuzioni pagate in nero, si arriva ad un volume complessivo di 14,9 miliardi. Per le casse dello Stato, è possibile stimare un risparmio di 11,6 miliardi, pari allo 0,7% del PIL. Si tratta dell’importo speso dallo Stato se dovesse farsi carico degli anziani accuditi in casa.
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