Il lavoro da remoto coinvolge oltre 7 milioni di persone. Lo rivelano i dati contenuti nell’indagine dell’Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche – Plus (INAPP). Una leggera contrazione rispetto all’anno precedente, il 2020 – noto ormai come l’anno della pandemia – che ha visto impegnati da remoto poco meno di 9 milioni di lavoratori.
Il report, intitolato ‘Il lavoro da remoto, le modalità attuative, gli strumenti e il punto di vista degli attuatori’, fotografa un periodo di tempo preciso: i mesi da marzo a luglio del 2021. Lo studio raccoglie, inoltre, il risultato di 45mila interviste realizzate sul territorio nazionale.
“Emerge che il lavoro da remoto, seppur realizzato in contesti organizzativi e tecnologici a volte impreparati, è stato un’esperienza positiva” si legge nell’introduzione della ricerca pubblicata il 26 gennaio.
Il lavoro da remoto: quali modalità e quali strumenti
Partiamo da alcuni dati. È pari a 2.458.210 occupati (ovvero l’11%) il totale di coloro che pre-pandemia lavoravano da remoto. Con il lockdown e le restrizioni utili a contrastare la pandemia da Covid-19, il numero di lavoratori impegnati in modalità ‘agile’ è cresciuto di più del triplo, arrivando a 8.890.481 sul totale degli occupati. Il numero si contrae leggermente nel periodo esaminato nelle pagine della ricerca di INAPP.
Il 50% è impegnato ‘da remoto’ da 3 a 5 giorni a settimana
Tra le pagine della ricerca si legge che “Le persone che prestano la propria attività da remoto tra 1 e 10 giorni al mese sono il 15,6% (pari a 3,4 milioni); circa il 9% lavora da remoto da 11 a 20 giorni al mese (2 milioni e oltre) e il 7,8% per 20 giorni o più al mese (intorno a 1,7 milioni). La distribuzione delle giornate agili settimanali, invece, fornisce informazioni più dettagliate, con quasi il 50% impegnato da remoto da 3 a 5 giorni a settimana e solo l’11,6% un solo giorno (figura 2); il 13,6%, invece non ha lavorato in modalità agile nella settimana”.
Le tipologie professionali
La ricerca evidenzia anche le diverse tipologie di professionalità e fa emergere dati significativi. Sì, perché le professioni meno qualificate raggiungono lentamente la soglia-limite di tele-lavorabilità; invece, le professioni più qualificate erogano da remoto quote rilevanti della prestazione. Della percentuale intervistata, ricordiamo un campione di 45mila unità, il 26,6% è stata impegnata in attività di telelavoro, il restante in lavoro agile.
La differenza tra il pubblico e il privato
Nelle aziende pubbliche sono più gli uomini che hanno scelto di lavorare da remoto, rispetto alle donne che invece fanno registrare dati più alti nell’ambito del settore privato. Ponendo così la percentuale delle donne leggermente superiore a quella degli uomini sul totale dei casi: 11,5% donne, 10,2% uomini. Quale autonomia nella scelta dei giorni di lavoro da remoto? È ancora la ricerca a spiegare che solo nel 34,7% dei casi i giorni sono stabiliti da un calendario prefissato, per il 27,1% dei lavoratori è possibile la modalità ‘agile’ ma solo comunicandolo in anticipo.
I dispositivi utilizzati da remoto
Il lavoro da remoto – aumentato a dismisura durante la pandemia e continuato ancora nel 2021 (con strascichi anche nell’anno in corso) – prevede l’utilizzo di determinati strumenti. I dispositivi elettronici sono aziendali o personali? Nel 42,5% dei casi sono personali, nel 36,5% sono aziendali, poco più del 18% li usa entrambi e solo il 2,9% di intervistati non ne utilizza.
Il ‘galateo digitale’ nell’era del Covid-19
Figlio dei tempi è senza dubbio il ‘galateo digitale’. Un insieme di regole ‘non scritte’ che prevede un utilizzo del lavoro da remoto compatibile con la vita privata nel quotidiano. È emerso che quasi il 40% degli intervistati non lavora mai o raramente la sera, con percentuali più elevate nel pubblico. Infine, il 46% dei lavoratori intercettati per la ricerca afferma che vorrebbe continuare a lavorare in modo agile. Di questi, il 24% sceglierebbe il lavoro da remoto tre giorni a settimana.
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