Secondo l’Inps, nei primi tre mesi dell’anno 300mila lavoratrici e lavoratori hanno rinunciato al posto fisso; il 35% in più rispetto allo stesso periodo del 2021. Cosa cercano? Secondo uno studio del Politecnico di Milano, non solo gratifiche economiche e prospettive di carriera, ma anche benessere e passioni.
Nei primi tre mesi del 2022 non si sono fermate le dimissioni dei lavoratori dipendenti in Italia. Un fenomeno iniziato negli Stati Uniti e che ha investito in pieno il nostro Paese fin dallo scorso anno. Oggi è l’Inps a confermare che gli italiani non cercano più il posto fisso. Ma probabilmente una professione gratificante, relazioni positive anche con i colleghi e il capo, la possibilità di equilibrare i tempi di vita e di lavoro.
Fra gennaio e marzo 2022 più di 300mila persone hanno lasciato un posto fisso
Secondo l’ultimo aggiornamento dell’Osservatorio sul precariato dell’Inps, le dimissioni registrate fra gennaio e marzo 2022 sono state complessivamente oltre mezzo milione: 506.835. Di queste, la maggior parte – ben 306.710 – hanno riguardato contratti di lavoro a tempo indeterminato. A seguire, 106.303 sono state le cessazioni volontarie di contratti a termine, mentre sono 38.374 gli apprendisti che hanno deciso di lasciare il lavoro. Seguono le somministrazioni (34.839), i contratti di lavoro intermittente (16.238) e per ultimo gli stagionali (4.371).
Rispetto al 2021, le dimissioni sono in aumento per tutte le tipologie di contratto. I dimissionari da contratti a tempo indeterminato aumentano in particolare del 35% (nel 2021 erano stati 227.622); del 29% se facciamo un confronto con il dato registrato prima della pandemia, ovvero nel primo trimestre 2019. Le cessazioni volontarie da contratti a termine sono quasi raddoppiate: nel primo trimestre 2021 erano state 58.767.
Alla ricerca della felicità: un lavoratore su quattro lascia per il proprio benessere
Sempre più numerose le voci di ricercatori ed economisti che si interrogano sul fenomeno delle “Grandi Dimissioni”: chi sono e cosa cercano i lavoratori che rinunciano al “posto”, anche stabile?
Secondo i dati raccolti dall‘Osservatorio HR Innovation Practice della School of Management del Politecnico di Milano, nell’ultimo anno 1 lavoratore su 2 ha cambiato lavoro nell’ultimo anno o vuole farlo nell’arco dei prossimi 18 mesi; solo 1 su 10 sta bene nel posto di lavoro attuale. Ancora, 4 persone su 10 hanno lasciato il lavoro senza un’altra offerta al momento delle dimissioni.
I numeri crescono fra i giovani (18-30 anni); per determinati settori di attività (ICT, Servizi e Finance); per alcuni profili professionali, in particolare quelli digitali. Inoltre, per il 44% delle aziende la propria capacità di attrarre candidati è notevolmente diminuita e nel 2021 è proprio questo l’ambito su cui le Direzioni HR hanno avuto maggiori criticità.
Chi cambia lavoro lo fa principalmente per cercare benefici economici (46%), opportunità di carriera (35%). Ma non sono basse le percentuali di chi cerca una maggiore salute fisica o mentale (24%) o vuole inseguire le proprie passioni personali (18%) o una maggiore flessibilità dell’orario di lavoro (18%).
Solo il 9% dei lavoratori dichiara di stare bene al lavoro
Solo il 9% dei lavoratori dichiara di stare bene sul lavoro sia dal punto di vista fisico che sociale e psicologico. Quella della mente è proprio la dimensione più critica di malessere: 4 lavoratori su 10 hanno avuto almeno un’assenza nell’ultimo anno per malessere emotivo. Preoccupazioni che si riflettono anche sullo stato fisico, con difficoltà a riposare bene e/o insonnia (55%). Questo malessere, però, sembra quasi totalmente sconosciuto alle aziende, che solo nel 5% dei casi lo considerano un aspetto problematico. A tutto ciò si accompagna una diminuzione del livello di engagement, ovvero di inclusione nella propria azienda: solo il 17% delle persone sente di appartenere ad un’organizzazione che ne valorizza la professionalità.
“Le dimissioni in Italia sono lo specchio di due fenomeni correlati” spiega Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio HR Innovation Practice. “Il crescente malessere dei lavoratori – evidenzia -, spesso non adeguatamente identificato dalle organizzazioni, e la volontà di dare un nuovo significato al lavoro, per cui molte persone oggi cambiano anche a condizioni economiche inferiori, per seguire passioni e interessi personali o conseguire maggiore flessibilità”.
L’altra faccia della medaglia: la carenza di competenze digitali
Accanto alle motivazioni psicologiche, un altro aspetto rilevante segnalato dall’Osservatorio HR Innovation Practice riguarda la scarsità di competenze digitali. Una ricerca di lavoro su 5 riguarda professionalità digitali, fra cui in particolare quelle specializzate in Cyber Security, Big Data e Analytics. Ma il 96% delle aziende ha difficoltà ad attrarre e sviluppare le professionalità necessarie per affrontare la trasformazione digitale. Nell’arco di 1 o 2 anni il 9% dei dipendenti dovrà essere riallocato perché non ha le competenze adeguate a svolgere il proprio lavoro, percentuale che supera il 15% in oltre 1 organizzazione su 10.
Nonostante questo, il 74% dei lavoratori non è preoccupato di rimanere inoccupato per via dell’evoluzione della propria professione. Probabilmente – spiegano i ricercatori – a causa di una scarsa consapevolezza di come evolverà il proprio lavoro e delle capacità che saranno richieste in futuro. Anche le aziende, però, non affrontano la questione in modo strategico: sono meno del 30% le organizzazioni che mappano le competenze presenti al proprio interno, e ancora meno quelle che analizzano in modo strutturato le capacità che saranno chiave nel prossimo futuro per definire concrete azioni di sviluppo.
Una criticità che comunque ha a che fare con la felicità al lavoro. A spiegarlo, Martina Mauri, Direttrice dell’Osservatorio HR Innovation Practice: “Per migliorare benessere ed engagement bisogna agire in maniera prioritaria su due leve: da una parte aumentare la flessibilità, intesa soprattutto come responsabilizzazione e autonomia della persona nella gestione delle proprie attività lavorative. Dall’altra creare un ambiente aperto e inclusivo, capace di valorizzare al meglio le competenze dei lavoratori, ma anche i loro interessi e passioni personali, a cui dare piena cittadinanza all’interno dei confini organizzativi”.
Le “Grandi Dimissioni” in un mercato del lavoro che torna a crescere
Il fenomeno delle “grandi dimissioni” mette radici in un mercato del lavoro che torna ai livelli pre-pandemia per assunzioni, trasformazioni, cessazioni. “Complessivamente – spiega l’Osservatorio Precariato Inps -, sia le assunzioni che le cessazioni hanno superato il livello del 2018-2019″. Anche le trasformazioni di contratti a termine in contratti stabili si sono avvicinate al livello massimo in precedenza registrato nel 2019”.
In particolare, le assunzioni attivate dai datori di lavoro privati nei primi tre mesi del 2022 sono state 1 milione e 865 mila; con un aumento del +43% rispetto allo stesso periodo del 2021. La crescita ha interessato tutte le tipologie contrattuali. Considerando che invece le cessazioni complessive (quindi non solo dimissioni, ma anche licenziamenti e risoluzioni consensuali) sono state 1 milione e 515 mila, il saldo è positivo di 350 mila posti di lavoro in più. Anche sull’anno si registrano 763mila nuovi posti di lavoro.
Tuttavia, anche le cessazioni dei contratti a tempo indeterminato per licenziamenti di natura economica e disciplinari sono in forte aumento (rispettivamente +162% e +48%). Questo dopo che nel primo trimestre 2021 i licenziamenti economici erano ancora bloccati dalle norme introdotte nel 2020 per la pandemia. Infatti, nel confronto con il 2019, per i licenziamenti economici si rileva una contrazione (-17%) e un aumento solo per quelli disciplinari (+59%).
Una nuova vitalità per il mercato del lavoro
La nuova vitalità del mercato del lavoro è confermata dalla Nota trimestrale sulle tendenze dell’occupazione che sintetizza i dati Istat, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Inps, Inail e Anpal del terzo trimestre 2022.
Secondo i dati del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in tre mesi, sono più 183 mila le posizioni a tempo indeterminato (+85 mila rispetto al quarto trimestre 2021) e a tempo determinato (+98 mila rispetto agli ultimi mesi 2021). Nel primo trimestre 2022 le attivazioni di rapporti di lavoro alle dipendenze sono state 2 milioni 687 mila (+1,5% in tre mesi); le cessazioni 2 milioni 504 mila (+3,7%).
Anche per l’Istat, aumentano di 120mila i posti di lavoro (+0,5%), cui si associa una diminuzione dei disoccupati e degli inattivi di 15-64 anni rispetto all’ultimo periodo del 2021. Anche rispetto al primo trimestre 2021, l’aumento degli occupati (+905 mila, +4,1%) si accompagna al forte calo delle persone in cerca di occupazione (-415 mila, -16,0%) e degli inattivi 15-64enni (-846 mila, -6,1% rispetto al primo trimestre 2021).
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