Il lavoro aiuta a preservare il cervello contro l’invecchiamento. Non solo. Lavorare in ambiti che prevedono mansioni complesse contribuisce a sviluppare maggiore resistenza al decadimento cognitivo. Lo dimostra una ricerca svolta da un gruppo di scienziate di SISSA – Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati – dell’Università degli Studi di Padova e IRCSS Ospedale San Camillo di Venezia.
Lo sviluppo della ricerca pubblicata sull’European journal of neurology
Partiamo da un assunto: un cervello in attività combatte l’invecchiamento cognitivo. Ma può anche la tipologia del lavoro essere determinante in questa battaglia? Per i ricercatori del team di Sissa, l’Università degli Studi di Padova e l’Ospedale San Camillo di Venezia la risposta è “sì”. Vediamo perché.
Lo studio, pubblicato sull’European journal of neurology quantifica il contributo di fattori demografici (età e sesso), comorbilità, istruzione e tipo di occupazione alla cosiddetta “riserva cognitiva”. Si tratta, in altre parole, della capacità di resilienza del cervello rispetto a un danno cerebrale causato da una patologia o dall’invecchiamento.
Soggetti “resistenti” e “in declino”
Il campione preso in esame dal team di ricercatori conta un numero considerevole di partecipanti che, valutati mediante una serie di test neuropsicologici, vengono divisi in tre tipologie differenti. Si distinguono, quindi, soggetti a rischio di declino cognitivo, soggetti con declino lieve e soggetti con declino avanzato. Lo stesso esperimento è stato condotto sul medesimo campione dopo anni.
E, alla fine della seconda fase, dunque, i ricercatori dividono il campione in soggetti “resistenti” e “in declino”.
«Abbiamo confermato l’osservazione che l’istruzione protegge le persone potenzialmente a rischio di sviluppare il declino cognitivo. Ma, soprattutto, abbiamo dimostrato che questi stessi individui avevano svolto professioni più complesse degli individui degli altri due gruppi, i soggetti con declino cognitivo lieve e avanzato», spiega Sara Mondini, professoressa dell’Università di Padova.
«Lo studio ha poi evidenziato come il gruppo dei ‘resistenti’ mostrasse in media livelli superiori di istruzione e un’attività lavorativa che prevedeva mansioni più complesse rispetto al gruppo “in declino”», aggiunge la luminare.
L’influenza dell’occupazione sulle prestazioni cognitive
Dunque «Abbiamo dimostrato l’influenza che ha l’occupazione sulle prestazioni cognitive», racconta la professoressa Raffaella Rumiati, neuroscienziata cognitiva della SISSA. E anche autrice del paper Protective factors for Subjective Cognitive Decline Individuals: Trajectories and changes in a longitudinal study with Italian elderlydi.
Aristotele direbbe “Lo scopo del lavoro è quello di guadagnarsi il tempo libero”. Ma non c’è dubbio che – grazie al contributo della ricerca – il lavoro acquisisce un nuovo obiettivo: combattere l’invecchiamento cognitivo.
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