Alla scoperta del “Giardino Roccioso” che Nicola Di Cesare ha costruito in 42 anni. Uno straordinario esempio di resilienza nel cuore della Valtellina
Lo chiamano il Gaudì della Valtellina, ma in realtà lui non sa nemmeno chi sia l’architetto catalano. O meglio, ora lo sa, perché i turisti che arrivano qui a visitare il suo “Giardino Roccioso”, gli parlano del genio spagnolo, mostrandogli le foto di Parco Guell o di Casa Batllo. Ma lui assicura: «Non ho copiato nessuno, è nato tutto così, in maniera spontanea». È sufficiente spendere qualche minuto con lui per capire quanto siano vere le sue parole.
Siamo a Grosio, un paesino in provincia di Sondrio, sulle Alpi Retiche, ad una manciata di chilometri dalla Svizzera: qui Nicola Di Cesare, classe 1950, abruzzese di origini, ha creato un luogo che sta diventando sempre più un’attrazione.
Un giardino in verticale, costruito interamente sulla montagna antistante casa sua, tutto adornato da vasi, sculture, panche, mosaici policromi. Duecentosette scalini si diramano tra sentieri e grotte. Picco, pala, sassi e cemento sono stati gli attrezzi del mestiere usati dall’artista. Un luogo incantato in cui perdersi, tra meraviglia e incanto. Si torna un po’ bambini percorrendo queste viottole perché è lo stupore a farla da padrone.
Nicola Di Cesare ha cominciato a costruire il giardino nel 1981. «Era un passatempo – racconta – ho iniziato con il primo muretto, l’ho adornato, e poi pian piano è venuto tutto il resto». Quarantadue anni. Tanto ci ha messo per dare vita a questo capolavoro, frutto della sua originalità e della sua praticità innata. È il suo rifugio, quel luogo in cui rintanarsi nel tempo libero, per evadere dalla routine quotidiana.
Lo spazio è interamente sostenibile, perché composto soltanto da materiale riciclato. Fanali delle macchine, vecchi piatti di ceramica, damigiane, vetri di bottiglie, tappi, conchiglie, specchi. Tutto assume di nuovo bellezza grazie alla creatività di questo artista. Troviamo una zucca di Halloween accanto ad un vecchio telefono della Sip, una sveglia delle merendine Buondì, una macchinina giocattolo rossa, uno Swatch dei tempi che furono. Per ognuno di questi oggetti Di Cesare ha creato delle piccole nicchie. Sono tutti scarti, oggetti datati e privi di uso che, grazie alla sua fantasia, riacquistano una nuova vita. Assumono un valore diventando parte di un progetto più ampio.
L’azienda dei rifiuti della zona ringrazia, e plaude a questa iniziativa. «Ormai gli addetti alla raccolta differenziata mi conoscono, mi mettono il materiale da parte, e se non mi vedono per qualche giorno si preoccupano», afferma sorridendo.
Qualcuno lo ha chiamato un’opera di “Land Art”, qualcun altro un esempio virtuoso di “UpCycling”, perché ha riutilizzato gli oggetti per creare prodotti di maggiore qualità. Ma l’artista rifugge ogni tipo di appellativo. Non vuole sentire neppure parlare di tecnica di mosaico, perché «Son solo quattro scarabocchi», si limita ad osservare. L’umiltà, del resto, è il suo marchio di fabbrica.
Ed allora, forse, non è corretto pretendere di cercare in questo luogo assonanze con Gaudì, voler ritrovare degli elementi comuni nel mix di cromie e forme che l’architetto catalano usava per ricreare un’armonia. Perché il Giardino Roccioso non ha alle spalle dei disegni, delle bozze, non ci sono studi fatti a tavolino, ma tutto è frutto dell’estro di Di Cesare e della capacità, del tutto innata, che ha di abbinare e, soprattutto, di riutilizzare gli scarti di materiale che gli vengono donati.
«Sto invecchiando», è scritto su un muretto in cemento, accanto alla sua data di nascita.
Tra le forme più ricorrenti c’è il cuore. Ritorna, imponente, quasi in ogni parte del giardino. È l’emblema del sentimento più puro in fondo, è il fil rouge della sua vita: la storia d’amore che, da più di mezzo secolo ormai, lo lega a Domenica Lucia, detta Menina, sua moglie.
Da ragazzo lavora per la marchesa Margherita Visconti Venosta. Ogni estate veniva a Grosio, perché la marchesa aveva una residenza estiva nel centro del Paese. Nello spaccio alimentare adiacente alla piazza centrale, Nicola conosce Menina e se ne innamora.
«Abbiamo passato cinque anni con i manoscritti – racconta -, le scrivevo i pensieri importanti sotto il francobollo», confida scherzando. Era il modo, allora, per scampare dalla “gogna” dei genitori. A sentire lui, questo giardino è stato “un salva-matrimonio”. «Perché i primi otto-dieci anni era tutto fiamme e fuoco, poi ha iniziato a fare fumo, ed allora se volevi ossigenarti era meglio uscire. Ed io, invece che andare all’osteria, mi son rifugiato qui», ammette sghignazzando.
Sull’ultimo scalino, il 207, che conduce al punto più alto, c’è scritto: “Questo cercavo”. Lo ha realizzato nel 2020, l’anno del Covid. «Io volevo arrivare fin quassù», spiega con un pizzico di orgoglio. E chissà se, quarant’anni fa, avrebbe mai immaginato di dar vita a tutto ciò. È incredibile quanto l’uomo sia in grado di dominare e modificare il paesaggio.
Eppure, laddove prima c’era un terreno impervio, adesso c’è un piccolo Eden per perdersi e poi ritrovarsi.
La notorietà di questo luogo è arrivata in maniera spontanea, tramite il passaparola sui social. Ha preso il via dopo la pandemia, all’interno di quello che è stato chiamato slow tourism, (turismo lento ndr), alla riscoperta dei luoghi contigui. E, da allora, il via vai di gente è continuo.
«C’è un’attenzione spasmodica ad ogni dettaglio – esclama una ragazza che arriva dal versante piemontese del lago Maggiore -, ci sono oggetti impensabili incastonati nel muro, e poi questo mix di viuzze e cunicoli è affascinante. L’artista è modesto, lo ha definito una pigna di sassi, forse non si rende conto della bellezza che ha creato».
Visitare il giardino significa anche avere l’opportunità di conoscere Nicola Di Cesare: la genuinità del suo carattere, la spontaneità delle sue risposte, la battuta sempre pronta mettono i visitatori a proprio agio, dandogli la possibilità di vivere un’esperienza immersiva e totalizzante.
«Ciò che colpisce è che il giardino sia proprio attaccato alla roccia, è incredibile come sia riuscito a tirar su anche delle colonne», si interroga un visitatore. «Siamo andati fino a Barcellona per ammirare le opere di Gaudì, e poi a pochi chilometri da casa avevamo questo luogo magico e non lo conoscevamo», aggiunge sua moglie.
E poi ci sono gli abitanti di Grosio, che questo posto lo hanno visto nascere. «È stata una sorpresa incredibile vedere Nicola rubare questi spazi all’incuria, giorno dopo giorno – racconta Paolo Ghilotti, giornalista de La Provincia di Sondrio -. Mi ha ricordato le fatiche dei nostri nonni, quando andavano a realizzare i terrazzamenti della vigna. Nicola ha creato qualcosa di epico».
Il Giardino Roccioso dovrebbe essere meta di visite guidate per gli studenti e non solo per i rimandi (più o meno calzanti) a Gaudì, quanto per lo straordinario esempio di resilienza che rappresenta. All’interno di questo spazio c’è la storia di un uomo, ci sono le date a lui care, gli oggetti e, soprattutto, c’è il tempo di riflessione e meditazione, che Di Cesare ha ricavato per sé, giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, riuscendo, alla fine, a creare un fantastico libro della sua vita. Un libro anomalo, perché non è fatto di parole ma di materia. Una materia che si può ammirare, calpestare e contemplare.
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