La bellezza autentica sta nell’accettarsi per quello che si è, senza chirurgia, diete aggressive e senza pregiudizi sull’età. È questo il messaggio, semplice e forte al tempo stesso, che deve passare attraverso tutte le generazioni.
Mi è capitato, anni fa, di aprire un noto quotidiano e vedere, su due pagine: il viso bello, intenso, sorridente e ironico di una donna molto anziana. Accanto: due caselle da sbarrare come in un sondaggio. La domanda era: “rugosa” o “radiosa”? Seguiva uno slogan che prometteva una rivoluzione culturale: “Per una bellezza autentica”.
L’intento era e resta onorevole: incoraggiare le donne ad accettare il proprio corpo, smettendo di digiunare per rassomigliare alle fotomodelle. La campagna era e resta necessaria: lotta ad anoressia e bulimia, contro i disordini alimentari. In un angolo c’era un piccolo logo grazioso: la sagoma di una colomba bianca, simbolo di pace. È di un noto marchio di prodotti per l’igiene personale che commercializza anche un sapone e certe creme. Prodotti di cosmesi soft. Un manifesto pubblicitario, certo, ma da sottoscrivere con entusiasmo riga per riga.
Cito dall’incipit: “Siamo convinte che la bellezza autentica si manifesti in forme, taglie, colori, età diverse e pensiamo che sia arrivato il momento di raccontare al mondo il nostro modo di essere uniche”. La donna che mi ha telefonato chiedendomi di aderire all’iniziativa, invece del consueto paziente grugnito che riservo a chiamate analoghe, ha ricevuto un grido di giubilo. Certo che firmo, a parte i manifesti contro la guerra e quello contro il femminicidio, mai nessun proclama mi è parso così urgente utile e sacrosanto. Vorrei stamparlo sulle magliette, sventolarlo sulle bandiere, inciderlo sulla corteccia degli alberi, dipingerlo sui fianchi dei vagoni dei treni. Tanto entusiasmo, inatteso, ha ammutolito la committenza. “Allora grazie, signora, se ci manda per fax una liberatoria, sa, così possiamo usare il suo nome, senza limiti”. Ho mandato il fax, con firma autografa. E ho finito di leggere: “pensiamo che ogni centimetro del nostro corpo, dai piedi alla cima dei capelli, meriti meno critiche e più amore… Davanti allo specchio vogliamo sorridere con complicità e allegria, alle nostre rughe…”. Invece di farci tagliare e riposizionare la pelle del viso dal chirurgo? Oh, sì, sì, certo. Che Dio vi benedica, signore che avete promosso questa campagna pubblicitaria, chiunque voi siate. Voi che vi siete prese il disturbo di intervistare 3.200 donne in 10 Paesi diversi, di chiedere loro che relazione avevano con il loro aspetto, scoprendo che soltanto il 2% si sente bella, tutte le altre si sentono uno schifo. Voi che avete varato un Progetto Mondiale, per promuovere “l’autostima” fra le appartenenti al genere più decantato e disprezzato, condizionato e svalutato, quello femminile. Voi che vi siete riproposte di stendere un “manifesto per la bellezza sostenibile”. Cioè: niente bisturi, niente diete da fame, niente cioccolatini di nascosto da te stessa che poi ti gonfiano come un pallone, basta con la scelta di celebrare dieci volte il cinquantesimo, compleanno per non attingere mai agli odiati sessanta, basta ansia di mettere al pizzo la bellezza perché sedici anni li hai una volta sola nella vita e, dopo, la nostra società pedofila e senescente comincia a non adorarti più tanto; fine del silicone, perché le labbra non devono per forza essere cuscinetti pneumatici e le tette, anche se non le hai, campi lo stesso, fine della mortalità da liposuzione, fine della coazione a nascondere il codice fiscale perché da lì (oddio, oddio) aggiungi 19 al numerino iniziale e sanno in che anno sei nata… Benedetta questa casa produttrice: dovesse pure nascondere una saponetta, un contorno occhi (per i lettori maschi: si tratta di una crema che promette e non mantiene), un lucida-polsi (questa me la sono inventata io)… è il messaggio inoltrato quello che conta. Un messaggio realistico: noi non si fa miracoli, con i prodotti cosmetici o igienici, voi, lavorando sulla vostra coscienza, potete farli. Potete invecchiare senza ansia, essere belle ciascuna a modo suo, essere persone e non cose, vestirvi e svestirvi a gusto vostro. È un incoraggiamento a sentirsi soggetti più che oggetti. A innamorarsi più che a far innamorare. A godere dell’ammirare, più che dell’essere ammirata.
Lidia Ravera è nata a Torino. Giornalista, sceneggiatrice e scrittrice, ha pubblicato trenta opere di narrativa tra cui “Porci con le ali” (Bompiani 1976), “Sorelle” (Rizzoli 1994), “L’eterna ragazza” (Rizzoli 2006), “La guerra dei figli” (Garzanti 2009) e “A Stromboli” (Laterza 2010). Gli ultimi romanzi “Piangi pure”, “Gli scaduti”, “Il terzo tempo”, “Avanti, parla” sono nel catalogo Bompiani. Ha lavorato per il cinema, il teatro e la televisione.
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