L’intesa raggiunta nel Comitato consultivo UE per la salute e sicurezza sul lavoro apre la strada ad un riconoscimento univoco per tutte le categorie a rischio. Anche in Italia, dove oggi solo gli assicurati Inail possono chiedere l’indennizzo per infortunio. E dove ad aprile sono stati superati i contagi registrati in tutto il 2021.
Il Covid deve essere riconosciuto come malattia professionale se contratto sul lavoro da chi opera nell’assistenza socio-sanitaria e domiciliare e in tutti quei settori in cui il rischio di infezione è maggiore. A stabilirlo, il Comitato Consultivo dell’Unione Europea per la sicurezza e la salute sul luogo di lavoro (CCSS). Il Comitato riunisce i rappresentanti degli Stati membri, dei lavoratori e dei datori di lavoro europei.
Un passo fondamentale verso un’Europa del lavoro sicuro
Riconoscere l’eventuale contagio da Covid sul lavoro come malattia professionale – spiega la Commissione europea – è un passo fondamentale verso l’attuazione del quadro strategico dell’UE in materia di salute e sicurezza sul lavoro 2021-2027. Nonostante i progressi compiuti negli ultimi venti anni, infatti, nel 2019 si sono verificati nell’UE ancora oltre 3,1 milioni di infortuni; di questi, più di 3.300 mortali. Più di 200mila i lavoratori europei che ogni anno sono vittime di malattie professionali.
In questo quadro, la Commissione Europea ha dunque adottato una strategia che si basa su tre obiettivi fondamentali, da realizzare entro il 2027. Il primo, prevedere e gestire i cambiamenti nel nuovo mondo del lavoro durante la transizione digitale, verde e demografica: in cantiere la revisione delle norme sui luoghi di lavoro, sui dispositivi di visualizzazione come PC e smartphone, sui limiti di utilizzo di amianto e piombo. Ma anche un’iniziativa a livello dell’UE relativa alla tutela della salute mentale sul luogo di lavoro.
Secondo obiettivo, la prevenzione per arrivare a “zero vittime”. In quest’ottica, la Commissione europea ha deciso di aggiornare le norme dell’UE sulle sostanze chimiche pericolose per combattere il cancro, le malattie riproduttive e respiratorie. Infine, dopo il Covid-19, la Commissione europea ha deciso di sviluppare delle linee guida per l’ attuazione e monitoraggio delle misure in potenziali crisi sanitarie future, in stretta collaborazione con gli operatori della sanità pubblica.
I prossimi passi dopo l’intesa europea
Il primo passo dopo l’accordo europeo sul riconoscimento del Covid come malattia professionale sarà quindi l’aggiornamento della raccomandazione della Commissione europea in cui sono elencate tutte le malattie professionali e gli agenti che possono provocarle, che gli Stati membri dovrebbero riconoscere. In questo modo, infatti, ai lavoratori dei settori interessati che hanno contratto la malattia sul luogo di lavoro possono essere riconosciuti diritti specifici in base alle normative nazionali, come il diritto ad un indennizzo economico.
La maggior parte degli Stati membri ha comunicato alla Commissione di riconoscere già il Covid-19 come malattia professionale o infortunio sul lavoro, conformemente alle rispettive normative nazionali. L’accordo ha però un importante impatto politico perché coinvolge l’intera comunità europea.
La situazione in Italia e i possibili sviluppi
In Italia l’Inail già riconosce l’infezione da Covid-19 come infortunio sul lavoro (circolare n. 13 del 3 aprile 2020). L’ambito della tutela Inail riguarda innanzitutto gli operatori sanitari esposti a un elevato rischio di contagio; poi altre categorie in costante contatto con le persone: i lavoratori impiegati in front-office e alla cassa; gli addetti alle vendite/banconisti; il personale non sanitario degli ospedali con mansioni tecniche, di supporto, di pulizia; gli operatori del trasporto infermi.
L’Inail non esclude la tutela assicurativa anche nei casi in cui l’identificazione delle precise cause e modalità lavorative del contagio si presenti più difficile – spiega la circolare – ma ricorre in questi casi ad una più ampia (e lunga) analisi dei dati epidemiologici, clinici, circostanziali. Infine, sono tutelati dall’Istituto anche i casi di contagio avvenuti nel percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro, che si configurano come infortuni in itinere, ad esempio per l’utilizzo di mezzi pubblici affollati nel tragitto casa-lavoro.
L’accordo UE apre ora le porte alla possibilità che anche i lavoratori non coperti dall’assicurazione obbligatoria gestita dall’Istituto possano ottenere il riconoscimento di aver contratto il virus a causa del lavoro. È il caso, ad esempio, dei medici liberi professionisti, di medicina generale e pediatri di libera scelta, dei commercianti e più in generale di liberi professionisti o autonomi che non hanno nessuno alla proprie dipendenze, delle Forze dell’Ordine.
Rispetto all’infortunio sul lavoro, che generalmente implica una lesione originata, in occasione di lavoro, da una causa violenta, la malattia professionale è invece un evento dannoso che trae sempre origine dalla prestazione lavorativa, ma agisce lentamente e per gradi sulla capacità lavorativa della persona.
Dal 2020 in Italia oltre 260mila denunce. È infortunio per 3 lavoratori su 4 e per 1 su 2 nei casi mortali
Nel nostro Paese, peraltro, la situazione dei contagi sul lavoro resta da allerta. Secondo l’ultimo monitoraggio effettuato dall’Inail, dall’inizio della pandemia al 30 aprile scorso i contagi sul lavoro da Covid-19 segnalati all’Istituto sono stati 260.750, pari a circa un quinto del totale delle denunce di infortunio pervenute da gennaio 2020 e all’1,6% del complesso dei contagiati nazionali comunicati dall’Istituto Superiore di Sanità alla stessa data.
L’Istituto ha riconosciuto come infortunio sul lavoro il 76% di queste denunce, attribuendo l’indennizzo economico al 95% dei lavoratori coinvolti. Per i casi mortali, invece, la percentuale di riconoscimento si attesta al 63%. Gli indennizzi sono quasi interamente costituiti da inabilità temporanee (99%); il restante 1% è suddiviso tra menomazioni permanenti (circa lo 0,7%) e rendite a superstiti per casi mortali (inferiori allo 0,3%). Per l’inabilità temporanea, in media, ogni infortunato da Covid-19 si assenta dal proprio posto di lavoro per 27 giorni.
I contagi sul lavoro sono in crescita
Rispetto ai dati registrati nel precedente monitoraggio (31 marzo), c’è una crescita del +6,3% delle denunce. Si tratta di 15.358 casi in più, di cui ben 8.778 riferiti ad aprile e 4.535 a marzo. Con 63.761 casi denunciati da inizio anno, il 2022 pesa già il 24,5% del totale dei casi segnalati all’Inail dal gennaio 2020; superato inoltre il dato registrato in tutto il 2021.
Anche se sono soprattutto le donne a denunciare contagi sul lavoro (68,3% dei casi) sono principalmente gli uomini a perdere la vita a causa dell’infezione (83,0%). L’età media dei lavoratori contagiati è di 46 anni per entrambi i sessi; con la fascia d’età 50-64 anni al primo posto (41,2% delle denunce), seguita dalle fasce 35-49 anni (36,6%), under 35 anni (20,2%) e over 64 anni (2,0 %). Gli italiani sono l’87,9%; tra i lavoratori stranieri la nazionalità più colpita è quella rumena, con più di un’infezione ogni cinque denunce. Il 41% delle denunce è concentrato nel Nord-Ovest. A livello provinciale, ai primi tre posti per numeri di casi denunciati Milano, Torino e Roma.
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