Il divario salariale è minore nel pubblico (5,2%) rispetto al privato (15,9%), ma il problema resta in tutti i settori lavorativi. Le donne guadagnano sempre e comunque meno degli uomini
Quasi un euro in meno l’ora. È quanto (non) guadagna in media una donna rispetto ad un uomo in Italia. Potrebbe sembrare poco, ma se lo calcoliamo su un anno di retribuzione scopriamo che si tratta di oltre 6.000 euro in meno complessivi. Nel nostro paese il “gender pay gap” (divario retributivo di genere, ndr) – la differenza percentuale media tra il guadagno orario degli uomini e quello delle donne – si è attestata al 5,6%. Lo ha rilevato l’Istat (dati 2022) attraverso una ricerca sulle unità economiche con almeno 10 dipendenti. Ragionando in euro vuol dire che la retribuzione oraria media maschile e femminile è pari rispettivamente a 16,8 e a 15,9 euro.
La differenza cresce persino a parità di livello di istruzione, con gli uomini che – anche in questo caso – guadagnano in media all’anno più delle donne. Neppure il titolo di studio, infatti, riesce ad arginare il divario che tende ad aumentare: è al 19,9% tra i dipendenti con la licenza media; tocca il 20,5% se l’istruzione è secondaria superiore; raggiunge il 39,9% con l’istruzione terziaria. Non è tutto, perché la cosa drammatica è che la differenza sale tra i laureati al 16,6% (un valore triplo rispetto a quello medio). Tra questi la retribuzione media oraria è di 20,3 euro per le donne e di 24,3 euro per gli uomini.
Il ‘gap’ salariale aumenta soprattutto tra tutte quelle professioni in cui la presenza femminile è assai ridotta. Tra i dirigenti, ad esempio, arriva a toccare il 30,8% in corrispondenza delle retribuzioni orarie più elevate. Seguono subito dopo le forze armate (27,7%) e gli artigiani e operai specializzati (17,6%). La tendenza rallenta invece nelle professioni intellettuali e scientifiche che presentano la situazione meno grave, quasi vicina al pareggio: qui le donne guadagnano in media 23,4 euro contro i 25,5 degli uomini. Si tratta del livello più basso riscontrato di “gender pay gap” (8,4%) in un settore, tra l’altro, caratterizzato da una forte presenza di donne lavoratrici. Un divario quasi simile (9,3%) lo ritroviamo tra le professioni non qualificate. Queste ultime, però, prevedono anche retribuzioni orarie particolarmente basse (10 euro le donne, 11 gli uomini).
Anche tra pubblico e privato ci sono differenze. Se nel primo il ‘gap’ salariale tra uomo e donna è pari al 15,9%, in quello pubblico scende al 5,2%. Tra i fattori che influiscono di più c’è la diversa composizione dei due settori. Nel pubblico le donne sono la maggioranza (55,6%), vantano un elevato livello di istruzione nonché la più alta retribuzione oraria, che può arrivare sino a 23 euro tra le laureate. Sono 6,9 euro in più rispetto alle donne che – con un titolo di laurea – lavorano nel privato. Tra gli uomini la differenza nelle retribuzioni orarie si riduce a 4,1 punti: 26,6 euro nel pubblico e 22,5 nel privato.
Il divario salariale è una realtà complessa nel nostro paese, multifattoriale e dalle radici profonde. Non è un caso se dal Global Gender Gap Index 2024 – il rapporto annuale del World Economic Forum che misura il divario di genere in 146 paesi – emerge che l’Italia ha perso otto posizioni rispetto al 2023, posizionandosi all’87° posto. Il problema è che non si tratta solo di una questione di numeri: è una ferita che lacera il tessuto sociale e mina il nostro potenziale di crescita.
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