Negli anni, l’ordinamento italiano si è dotato di un più solido sistema normativo dedicato al contrasto e alla prevenzione della violenza. Ciò che manca, però, sono sufficienti risorse economiche e un’azione incisiva dedicata ad eliminare gli stereotipi che ancora oggi alimentano i soprusi sulle donne
Esiste un nesso inscindibile che è quello tra la violenza e le dinamiche di potere. Ce lo insegna la storia, ce lo ricorda l’attualità. Le immagini di barbarie e distruzione a cui siamo sempre più abituati nel nostro quotidiano sono l’esempio più lampante della solidità di questo legame, ma certamente non l’unico. Ce ne è un altro, meno palese, a cui ci stiamo lentamente assuefacendo in un continuo reiterarsi di notizie al tg, che è quello della violenza contro le donne. Nel 1993 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite riconosceva che la violenza di genere «è una manifestazione delle relazioni di potere storicamente ineguali tra uomini e donne», nonché uno dei meccanismi sociali che rinsalda la condizione di subordinazione femminile alla controparte maschile. In parole povere: la violenza si nutre di dinamiche relazionali che hanno radici antiche per cui la donna diventa oggetto alla mercé dell’uomo. Tutti abbiamo provato sdegno e rifiuto per i noti avvenimenti degli ultimi mesi: ciò conferma che la violenza, in ogni caso, è un fenomeno di valenza pubblica, ed è perciò chiaro il ruolo fondamentale che deve svolgere lo Stato costruendo un adeguato sistema di leggi.
L’ordinamento normativo italiano si è gradualmente evoluto a favore di un approccio sempre più articolato dedicato al contrasto effettivo della violenza contro le donne e alla sua prevenzione. Nel 1996 veniva finalmente introdotto nel Codice penale il reato di violenza sessuale, sulla scia di una rinnovata sensibilità internazionale sul tema, guidata dalle azioni proposte in occasione della Conferenza mondiale sulle donne delle Nazioni Unite del 1995. È questo un momento fondamentale, in cui si gettano le basi per la costruzione di un apparato normativo ampio, basato anche su parametri forti di prevenzione e protezione: nel 2001 viene introdotto l’allontanamento dall’abitazione del soggetto maltrattante; nel 2006 si istituisce il reato relativo alle pratiche di mutilazione genitale femminile, necessario per via del crescente numero di donne immigrate presenti nel nostro Paese; nel 2009 il Codice penale si arricchisce con il reato di stalking. È in questa fase che si consolida l’attento lavoro di raccolta dati sulla violenza dell’Istat, e viene lanciato il 1522, il numero verde dedicato alle richieste di aiuto e sostegno delle vittime. Ancora più importante, si sviluppa la fondamentale rete dei centri antiviolenza e delle case rifugio grazie soprattutto all’assidua attività di associazioni volontarie.
È però l’ultimo decennio quello che ha impresso la maggiore accelerazione alla produzione normativa: il giro di boa è rappresentato dalla ratifica italiana nel 2013 della Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa, ancora oggi il più importante trattato internazionale dedicato al contrasto della violenza sulle donne, anche domestica. Lo stesso anno veniva approvato il decreto femminicidio che, tra le sue disposizioni, introduceva il reato di omicidio volontario aggravato dal rapporto di parentela o convivenza con la vittima di sesso femminile e prevedeva l’introduzione di un Piano d’azione contro la violenza. Ad oggi è operativo il terzo “Piano strategico nazionale sulla violenza maschile contro le donne 2021-2023”, finalmente pensato come uno strumento strutturale, dopo i primi due esercizi di natura straordinaria.
La peculiarità di questo Piano è la sua struttura, reiterata dalla Convenzione di Istanbul e basata sull’approccio delle “quattro P”: prevenzione, protezione e sostegno, perseguire e punire, promozione ed assistenza. In tal modo si configura una risposta olistica al fenomeno, che passa per l’educazione scolastica, la formazione di tutti i professionisti coinvolti nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza (con particolare riferimento alle forze dell’ordine ed al personale giudiziario, nodo questo tra i più complessi ed attenzionati), l’azione sugli uomini maltrattanti, l’autonomia e la diffusione dei luoghi dedicati alle donne.
Recentemente sono state anche apportate modifiche al cosiddetto “Codice Rosso” del 2019, introdotto per velocizzare i tempi operativi per i delitti di violenza domestica e di genere e quindi accelerare l’adozione di provvedimenti di protezione delle vittime; le ultime modifiche normative hanno inteso consolidare la garanzia del rispetto dell’obbligo per il Pubblico Ministero di assumere informazioni entro tre giorni dalla denuncia di violenza: quando tale termine non viene rispettato, il Procuratore della Repubblica può sentire direttamente la persona offesa o assegnare il provvedimento ad un altro magistrato. Come anticipato, appare chiara la necessità di poter contare su di un personale giudiziario formato e specializzato, per accompagnare la vittima nel delicato percorso di denuncia e durante l’iter processuale.
Il vero nodo gordiano nel nostro Paese rimane sempre quello delle risorse economiche: i finanziamenti pubblici, anche se regolarmente stanziati ed erogati, sono sempre insufficienti a coprire il reale fabbisogno della rete dei centri antiviolenza e delle case rifugio, che rappresentano il primo e fondamentale presidio di accoglienza e sostegno per le vittime di violenza. Non bastano neppure i soldi destinati a misure che potrebbero rivelarsi davvero funzionali come nel caso del Reddito di libertà, che si sostanzia in un assegno mensile erogato per un periodo massimo di un anno e che potrebbe dare respiro alle donne che necessitano di ricostruire la propria autonomia.
Accanto al continuo aggiornamento normativo e ad un più sostanzioso finanziamento pubblico, quello di cui forse c’è davvero bisogno è una ristrutturazione culturale del nostro quotidiano. Sradicare tutti quegli stereotipi che sono ancora oggi alla base di ogni forma di accettazione e reiterazione della violenza è una priorità sottovalutata e invece dovrebbe essere il principio guida di ogni nuova azione politica, normativa, economica e sociale.
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