Lo scorso 7 ottobre i miliziani palestinesi di Hamas hanno lanciato il più grande attacco di sempre contro Israele. Più di 900 morti (tra israeliani e stranieri) e la dura reazione del governo di Gerusalemme aprono nuovi, preoccupanti scenari di guerra.
Nelle prime ore della mattina di sabato 7 ottobre Hamas ha lanciato un attacco a sorpresa su più fronti contro Israele uccidendo oltre 700 persone (salite a più di 900 nei giorni successivi), ferendone più di 2.600 e prendendone in ostaggio più di cento (tra cui due italo-israeliani). Duemila miliziani dell’organizzazione fondamentalista sunnita (e precisamente della sua ala militare, le cosiddette Brigate Ezzedin al-Qassam) hanno fatto irruzione in diverse città, villaggi e kibbutz del territorio israeliano al confine con la Striscia di Gaza mentre una pioggia di razzi lanciati dalla Striscia colpiva il sud del Paese fino a Tel Aviv. Un’azione di particolare crudeltà ha portato all’uccisione di 260 ragazzi (tra cui diversi stranieri) riuniti fino all’alba per il Supernova Music Festival nei pressi del kibbutz di Re’im.
L’11 settembre israeliano
L’11 settembre israeliano, come è stato definito, il giorno più drammatico e sanguinoso nella storia del Paese ha provocato, prevedibilmente, un dura reazione da parte delle autorità di Gerusalemme. Il governo di Israele ha dichiarato l’assedio totale della Striscia di Gaza, sospendendo la fornitura di acqua, derrate alimentari, gas ed energia elettrica. Bombardamenti dell’aviazione israeliana, compiuti come atto di ritorsione, hanno provocato nella Striscia quasi 700 morti e 3.000 feriti, secondo i numeri (in costante crescita) forniti dalle autorità palestinesi.
Per Benjamin Netanyahu l’offensiva è appena cominciata
Un portavoce di Hamas ha segnalato che le incursioni aeree hanno già provocato la morte di quattro ostaggi insieme ai loro carcerieri e ha minacciato l’uccisione di un altro ostaggio ogni volta che Israele compirà attacchi sulle abitazioni civili senza preavviso. Intanto la marina israeliana bombarda le coste della Striscia e un poderoso esercito (300.000 riservisti sono già stati mobilitati) si prepara ad invaderla.
Il primo ministro Benjamin Netanyahu, proponendo a tutte le forze politiche israeliane la formazione di un governo di unità nazionale, ha avvertito che l’offensiva è appena cominciata, che si propone di eliminare i terroristi palestinesi e che “si ripercuoterà sui nostri nemici per generazioni”.
Il lavoro della diplomazia per impedire l’escalation
È cominciato anche, in parallelo, un intenso lavorio diplomatico per impedire l’escalation del conflitto, già segnalata dal lancio di razzi nel territorio israeliano dal Libano, ad opera di Hezbollah, dalla possibile infiltrazione di miliziani libanesi e dal conseguente dispiegamento di truppe dell’esercito di Gerusalemme al confine settentrionale del Paese. Stati Uniti e Unione Europea si sono schierati compatti al fianco di Israele, vittima di un’aggressione terroristica, mentre all’interno della Lega Araba le posizioni sono più variegate, spaziando da una condanna generale della guerra a un sostegno più o meno motivato della causa palestinese. L’Onu, pur nella ferma condanna delle azioni di Hamas, ha precisato che l’assedio totale alla Striscia di Gaza è contrario alle norme del diritto internazionale.
Qatar, Hamas, Egitto, Israele… Uno scenario molto vasto
Quanto alle iniziative pratiche, il ministro degli esteri del Qatar ha dichiarato di essere in contatto con rappresentanti di Hamas ed autorità israeliane per promuovere uno scambio di prigionieri e fonti di stampa egiziane riportano che il governo del Cairo, storico mediatore fra i contendenti, sta negoziando uno scambio di detenute. Né Israele né Hamas confermano peraltro i negoziati. Mentre la situazione sul campo è in divenire e la portata militare e politica delle azioni di Hamas e Israele va sempre più definendosi, una cosa è certa. Un nuovo tassello rischia di aggiungersi alla “guerra mondiale a pezzi”, secondo la definizione coniata con lucida franchezza da papa Francesco.
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