Alle urne per cinque referendum abrogativi su altrettanti temi “scottanti” che riguardano il nostro sistema giudiziario, dall’incandidabilità dei politici alle elezioni del Consiglio Superiore della Magistratura. In quasi mille Comuni italiani si vota anche per le elezioni amministrative
Avete mai letto una domanda lunga 1.078 parole? Potreste doverlo fare in cabina elettorale il prossimo 12 giugno, quando saremo chiamati a votare su cinque referendum popolari. Si tratta di referendum abrogativi. Dunque, se voteremo “sì”, daremo il nostro consenso ad eliminare in parte o in tutto alcune norme attualmente in vigore. Se, invece, metteremo la nostra crocetta sul “no”, allora non cambierà nulla. Affinché il referendum sia valido, occorre che alla votazione partecipi almeno la maggioranza degli aventi diritto, cioè i cittadini maggiorenni anche se temporaneamente residenti all’estero. Solo in questo caso si procederà allo spoglio delle schede e vincerà la scelta che avrà ottenuto la maggioranza dei voti validi.
Fin qui, sembra tutto facile. Il problema è che, come spesso accade quando vengono indetti i referendum, la volontà popolare deve cimentarsi nella corretta interpretazione del linguaggio “referendese”. Ma non solo. I cinque referendum riguardano infatti temi fra i più “scottanti” del sistema giudiziario italiano. Alcuni dei quali sono oggetto anche della riforma della Giustizia di cui si discute da tempo. Cerchiamo dunque di fare chiarezza sui cinque quesiti a cui dovremo rispondere per non trovarci impreparati e sperduti nella sfilza di parti, commi e lettere di legge che troveremo riportati sulle schede elettorali.
Incandidabilità e la corruzione dei politici
Il primo quesito riguarda l’incandidabilità e la corruzione dei politici. Ci verrà chiesto se vogliamo abolire l’intero Testo Unico delle disposizioni su incandidabilità e divieto di ricoprire cariche elettive e di governo a seguito di condanne penali in via definitiva (Decreto Legislativo n. 235 del 2012).
Noto alle cronache come “decreto Severino”, il Testo Unico dispone in particolare che non possono essere candidati o in carica alla Camera, al Senato e al Parlamento europeo, né ricoprire incarichi nel governo italiano, coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per delitti penali di grave entità, come terrorismo, tratta di persone e riduzione in schiavitù, associazione mafiosa, traffico illecito di rifiuti o di sostanze stupefacenti. Così come in caso di sentenza definitiva di condanna per reati contro la Pubblica Amministrazione (peculato, concussione, corruzione, rivelazione di segreti d’ufficio, solo per fare alcuni esempi). Disposizioni analoghe valgono per i candidati alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali e per incarichi di vertice nelle amministrazioni locali.
Se votiamo sì: scegliamo di abolire tutte le disposizioni anti-corruzione contenute nel Testo Unico.
Se votiamo no: il decreto Severino resta in vigore.
Custodia cautelare
Il secondo quesito riguarda la custodia cautelare, ovvero quelle misure che privano della libertà l’individuo sospettato di aver commesso un reato prima della condanna definitiva. Queste misure possono essere adottate solo in particolari circostanze, disciplinate dal codice di procedura penale: ad esempio, in caso di rischio concreto e attuale di inquinamento delle prove nel corso delle indagini; pericolo di fuga o di ulteriori gravi delitti con l’uso di armi. Proprio su queste circostanze interviene il referendum.
Il 12 giugno ci verrà chiesto se vogliamo introdurre ulteriori limiti, eliminando la norma che consente la custodia cautelare anche quando sussiste il concreto e attuale pericolo che l’indagato possa commettere nuovamente il delitto di cui è sospettato; ipotesi già limitata ai casi in cui tali delitti prevedano pene detentive non inferiori nel massimo a quattro anni o cinque in caso di custodia cautelare in carcere, nonché per il reato di finanziamento illecito ai partiti (art. 274, comma 1, lettera c) del codice di procedura penale).
Se votiamo sì: la custodia cautelare non sarà più possibile in caso di pericolo concreto e attuale di reiterazione del delitto nelle ipotesi già disciplinate dal codice.
Se votiamo no: la custodia cautelare potrà essere disposta secondo le modalità e i limiti attualmente vigenti.
Distinzione fra giudici e pubblici ministeri
Veniamo ora al terzo quesito, la famosa domanda da 1.078 parole. Argomento: la separazione delle carriere dei magistrati in base alle funzioni svolte, ovvero la distinzione fra i giudici che decidono (funzione “giudicante”) e i pubblici ministeri che rappresentano l’interesse pubblico nei procedimenti giudiziari (funzione “requirente”). Il referendum chiede di eliminare una serie di parti o singole frasi di diversi testi di legge in cui si contempla il passaggio dall’una all’altra funzione; passaggio che, nel tempo, è stato già oggetto di diverse restrizioni e divieti, da ultimo con la delega al governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario.
Il taglio più corposo chiesto dal referendum riguarda l’articolo 13 del Decreto Legislativo n. 160 del 2006, che regola proprio l’attribuzione delle funzioni ai magistrati e i casi in cui è consentito il passaggio dalle giudicanti alle requirenti e viceversa. Ma nel “taglia e cuci” ci sono anche analoghe disposizioni contenute in norme che riguardano la richiesta di spostamento di sede; la promozione per merito; la formazione e l’aggiornamento professionale; la valutazione quadriennale della professionalità; il trasferimento d’ufficio.
Se votiamo sì: il passaggio dalla funzione di giudice a quella di pubblico ministero e viceversa non sarà consentito.
Se votiamo no: il passaggio di funzioni nel corso della vita professionale del magistrato sarà permesso – o vietato – secondo le disposizioni in vigore.
Rapporto fra i membri dei Consigli direttivi della Corte di Cassazione e dei Consigli Giudiziari delle Corti d’Appello
Nel quarto quesito si interviene sul rapporto fra i membri dei Consigli direttivi della Corte di Cassazione e dei Consigli Giudiziari delle Corti d’Appello. Questi organi si occupano di assegnazione e designazione dei magistrati, valutazione delle professionalità, formazione e aggiornamento professionale, vigilanza sugli uffici. In entrambi gli organi siedono, al fianco dei membri di diritto (come il presidente e il procuratore generale della Corte), magistrati eletti e membri “laici”, termine con cui si indica chi non appartiene all’ordinamento giudiziario: professori universitari e avvocati. Attualmente, i membri laici si occupano essenzialmente solo dell’organizzazione degli uffici e della vigilanza. Al referendum ci verrà chiesto se vogliamo eliminare questi limiti. Intanto, la riforma della Giustizia già prevede di estendere ai laici la possibilità di partecipare a discussioni e deliberazioni sulla valutazione professionale dei magistrati.
Se votiamo sì: i membri laici potranno partecipare alla discussione e alle deliberazioni su tutti i temi di competenza degli organi direttivi al pari dei membri di diritto e dei magistrati eletti.
Se votiamo no: i membri laici continueranno ad occuparsi solo di alcune materie.
Elezioni dei magistrati componenti del Consiglio Superiore della Magistratura
L’ultimo quesito riguarda le elezioni dei magistrati componenti del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), l’organo di auto-governo della magistratura. Ci sarà chiesto di eliminare le norme che obbligano il magistrato candidato a presentare una lista di colleghi “presentatori” non inferiori a venticinque e non superiori a cinquanta. I quali non possono presentare più di una candidatura né candidarsi a loro volta (Legge n. 195 del 1958, articolo 25, comma 3). In questa direzione interviene anche la riforma.
Se votiamo sì: il magistrato che vuole candidarsi dovrà presentare solo un’apposita dichiarazione autenticata.
Se votiamo no: il magistrato candidato dovrà continuare a presentare anche la lista di magistrati che lo sostengono.
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