La realtà che ci circonda nasce da molto lontano. È il risultato di innumerevoli scelte, di azioni, convincimenti, atti di coraggio, paura o impegno, di intere generazioni, la nostra, le precedenti. Oggi, in questo concatenarsi dove tutto trova risultato – meno il caso che pure ci fa comodo invocare quando si tratta di giustificare qualche fallimento – continuiamo a non vedere nessuna vera azione mirata a trasformare le pur innegabili difficoltà che l’invecchiamento della popolazione porta con sé, in occasioni, ampiamente indagate e documentate, di sviluppo e di crescita sia economica che sociale del Paese.
Quindi l’Italia che pure vanta record invidiabili di persone anziane in salute, attive, impegnate nel mondo dell’associazionismo e del volontariato, in condizioni economiche dignitose tali da poter dare un fattivo contributo finanziario a figli e nipoti, bene, questa realtà, questa identità forte, rimane da sempre ancorata a una totale marginalità nell’agenda politica di Governo e Parlamento, incapaci di coniugare la propria attività con il futuro prossimo della popolazione. Nel corso della recente assemblea elettiva dell’Associazione 50&Più a cui la nostra rivista – oltre che come editore – guarda come realtà di riferimento, il neo eletto presidente nazionale, Carlo Sangalli, nell’accettare l’incarico, ha sottolineato: «Interpreto in questo modo quel “più” che è parte del nome dell’Associazione, non come una indicazione anagrafica, ma come un’esortazione esistenziale. Tutto il bagaglio di esperienza deve trasformarsi in un nuovo impegno personale, in qualcosa di più grande della somma dei nostri anni passati». Una visione lontana anni luce da quella che ci viene proposta, ad esempio, dalla famosa riforma pensionistica di “Quota 100” che, lungi dall’ottenere l’effetto di rimpiazzare con i giovani chi sceglie questa strada, pone come condizione a questi pensionati l’astensione da qualsiasi ulteriore impegno, cioè una specie di esilio forzato dal mondo del lavoro. Invece di creare le condizioni per una vita attiva più lunga e gratificante, si impone una visione distorta di tutto quello che un sessantaduenne può dare ancora per anni a se stesso e alla collettività!
È un esempio, appunto, ma che la dice lunga sulla assenza di “lettura” della realtà e degli andamenti demografici. Ma crediamo che sia giusto porci qualche domanda anche sull’attività di rappresentanza che l’associazionismo anziano (non) sta facendo in nome dei milioni di associati che pure conta. Per quanto tempo ancora continuerà a rinunciare a svolgere il ruolo per il quale si è costituito ed è stato scelto dalle persone? Occorre una visione nuova del tema della longevità, che ridefinisca ruoli, bisogni, possibilità, diritti e doveri della generazione anziana in una società moderna e che persegua l’obiettivo comune di un welfare per tutte le età. Ma occorre altresì che chi oggi voglia apertamente rappresentare queste istanze, se ne faccia carico per un’azione culturale e politica per nulla semplici.
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