Il 29 ottobre si celebra la giornata mondiale di sensibilizzazione sull’ictus cerebrale. Nei paesi occidentali la patologia rappresenta la terza causa di morte dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie, nonché la principale fonte d’invalidità.
Ogni anno si registrano nel nostro Paese circa 90mila ricoveri ospedalieri dovuti all’ictus cerebrale. Un colpo che mette a repentaglio la vita, rende il futuro un’incognita, condanna alla disabilità e alla perdita dell’autosufficienza. Il tempo, ovvero la rapidità del soccorso, è fondamentale per la salvezza. Ne parliamo in questa intervista con Danilo Toni, direttore dell’Unità di Trattamento Neurovascolare presso il Policlinico “Umberto I” nella Capitale.
Professor Toni, ci spieghi cos’è l’ictus cerebrale e perché la tempestività dei soccorsi è importante?
L’ictus è la malattia neurologica più frequente, la cui incidenza aumenta con l’età. È dovuto alla chiusura di un’arteria, e si parla di ictus ischemico, o alla rottura di un’arteria, e si parla di emorragia cerebrale. È fondamentale intervenire tempestivamente, soprattutto nel caso dell’ictus ischemico, perché si possono riaprire le arterie chiuse con una terapia farmacologica, la trombolisi, e/o con una terapia meccanica, cioè andando a catturare il trombo occludente con un catetere inserito nelle arterie. Ma tutto questo risulta più efficace quanto più precocemente si interviene dopo l’esordio dei sintomi.
Quando l’ictus si presenta, come facciamo a riconoscerlo?
La bocca storta; un’improvvisa debolezza di una metà del corpo, eventualmente con riduzione o perdita della sensibilità; la perdita della vista in un campo visivo; la difficoltà a mantenere la posizione eretta per un disturbo dell’equilibrio: sono tutti sintomi che debbono fare pensare ad un ictus.
Qual è il decorso della malattia? E come si cura?
Distinguiamo la fase acuta, rappresentata dalle prime 24 ore, nella quale possiamo attivare gli interventi di rivascolarizzazione, dalla fase immediatamente successiva, volta a prevenire e curare le complicazioni cardiache, pressorie, respiratorie, infettive, che possono verificarsi nel decorso della malattia, in particolare nei casi più gravi, cosa che richiede il ricovero in unità specializzate, note come unità ictus o “stroke unit”.
Quando un paziente colpito da ictus può essere dichiarato fuori pericolo?
Mediamente i primi quattro-cinque giorni sono quelli più a rischio di complicanze e di decesso. Anche se in caso di pazienti più gravi la fase di criticità si può estendere anche a due settimane.
Circa un milione di persone convive con gli effetti invalidanti di questa patologia. Sotto il profilo riabilitativo quali le opportunità (e le speranze) per tornare alla normalità?
La riabilitazione è un aspetto cruciale della terapia dell’ictus, essendo finalizzata a un recupero il più completo possibile delle abilità funzionali menomate dalla malattia. Il percorso riabilitativo va iniziato sin dalla fase di ricovero in unità ictus e proseguito per tempi definiti dalla gravità degli esiti neurologici. Circa il 50%-60% dei pazienti inviati in ambiente riabilitativo (che sono i più gravi, cioè quelli che non recuperano completamente entro pochi giorni dall’esordio dei sintomi), possono recuperare un’autonomia funzionale da soddisfacente ad ottima.
Quali sono i fattori di rischio? E tra questi quanto conta l’età avanzata?
I fattori di rischio classici sono l’ipertensione, il fumo, il diabete, livelli di colesterolo elevati, il consumo eccessivo di alcol, l’obesità, cardiopatie come la fibrillazione atriale o lo scompenso cardiaco. L’età è chiaramente un fattore di rischio, perché l’incidenza dell’ictus cresce con l’età. Ma può colpire anche pazienti con meno di 50 anni e persino bambini. Nei pazienti giovani andiamo a cercare condizioni di rischio “rare”, come la pervietà del forame ovale (una comunicazione tra atrio destro ed atrio sinistro), l’abuso di sostanze, alterazioni della coagulazione su base genetica, infiammazione delle arterie, eccetera.
Infine, la prevenzione: è vero che l’80% di tutti gli episodi di ictus – leggiamo nel sito di A.L.I.Ce. Italia Odv (Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale) – può essere evitato?
Sì, il controllo rigido di tutti i fattori di rischio potrebbe comportare una teorica riduzione dell’incidenza di ictus dell’80%. Realisticamente, possiamo dire che un controllo attento dei fattori di rischio è l’arma più potente per poter ridurre l’incidenza della malattia, sia in prevenzione primaria (cioè di un primo ictus) che in prevenzione secondaria (cioè di una recidiva dopo che un primo ictus si sia verificato).
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