Maria Iattoni.
Vive a Bologna. Ex infermiera, si è avvicinata alla poesia e alla prosa dopo un incidente con danni permanenti. Dice: “50&Più è quasi spina dorsale alla mia infermità che mi consente di fare viaggi nella memoria”. Partecipa al Concorso 50&Più da vari anni, nel 1997 e 2004 ha vinto la Menzione speciale della giuria per la poesia e nel 2011 la Farfalla d’oro per la prosa.
Premessa:
La memoria è uno strano meccanismo.
Assimila le violenze e “anestetizza?” il dolore!?
I ricordi, tutti in un tizzone acceso, pur senza fiamma che piano, piano, si consuma.
Che siano eventi storici o potere della miseria, questi ricordi?
Risale all’immediato dopo guerra “lo scolapiatti” di cui voglio parlare.
Abitanti sull’Appennino Bolognese, la “Linea Gotica”, contadini del Prete, otto fratelli abbastanza piccoli, perduto pure il padre, eravamo tornati “Lì” dove non c’era più la casa né altro da vestire o da mangiare.
Anche la terra, bruciata da bombardamenti e cannonate, non aveva ancora iniziato a rimettere radici.
Con l’aiuto di pochi, cui era rimasto qualcosa, avevamo riiniziato anche noi, con pochi piatti, meno di uno a testa, a fare qualche zuppa, prevalente, di fagioli e patate.
Un cestino di vimini, dentro cui andarli a lavare e sgocciolare ad una docciola vicina alla “baracca” d’improvvisa abitazione, era il nostro “scolapiatti”. L’impegno del lavaggio, con il famoso cestino, era spesso destinato a me. Scalza, sulla sabbia che un po’ pungeva, quell’avanti e indietro lo facevo cantando il famoso: “Sol dell’avvenir”. Anche l’acqua, nel tempo, logora e una sera tornando cantando, con il manico del cestino al braccio, il fondo si stacco, caddero e si ruppero tutti i piatti.
Tramutato il canto in pianto, raccontai l’accaduto. Mio fratello maggiore, sicuramente irrigidito dai patimenti appena superati, anche sulle montagne, piccolo Partigiano, mi sgridò molto forte, con anche qualche “sculaccione”. Dovevo stare più attenta! Per vincere il senso di colpa e in qualche modo difendermi, conclusi dicendo: “Però erano vuoti, la zuppa è nella pancia e anche tu, caro Piero che hai patito tanto freddo fame e paura nel desiderio di tornare da noi, vuoi far caso a questo piccolo incidente…?”.
Avevo fatto una dichiarazione di pace! Mio fratello mi abbracciò, quasi con i lacrimoni… Da esperto com’era a tessere i vimini, appena fu possibile raccoglierne, fece apposta per me, un altro paniere e me lo regalò dicendo: “Ecco lo scolapiatti della concordia”.
“Lo riempiremo di zuccherini ad ogni matrimonio”, aggiunsi io, sapendo che lui si sarebbe presto sposato.
Fu cosi infatti, avevamo rimesso un po’ in funzione un forno a bacchetti e con mia mamma e sorelle avevamo fatto i zuccherini per il pranzo matrimoniale.
Ovviamente alla meno peggio, ancora dentro alla baracca suddetta, una quasi tavola, molto artigianale e una quasi tovaglia, su cui primeggiava lo “scolapiatti” pieno di zuccherini.
Quanti applausi!
Che bella festa! In quella “stanza” piena di tragico entusiasmo, nella legittima esigenza gioiosa, si muovevano gli sposi fra gli applausi.
Dopo l’orrore “Fascismo” pur senza conoscere la storia, aver visto a terra morti di vario colore, ci faceva inneggiare alla libertà. Di quegli applausi, sicuramente i più affettuosi e schietti, rispetto ai tanti che si sono susseguiti ne risento l’eco, mentre un cestino di vimini, non proprio quello, ma proveniente dalle sue mani, è qui in bella vista per vivo ricordo.