Spesso il divario tra generazioni viene vissuto in modo marcato sul piano della comunicazione, con scambi di reciproche accuse su modalità, linguaggi e idee. Ai più anziani i “giovani”, ad esempio, sembrano peccare di una certa scarsità di eloquio. Ma per la sociolinguista Vera Gheno, specializzata in Comunicazione mediata del Computer e docente all’Università di Firenze, l’impoverimento del linguaggio giovanile non è una verità assoluta. Per lei si tratta di una “incomprensione intergenerazionale” dovuta a un meccanismo evolutivo. I giovani affinano le proprie competenze più nella grammatica delle immagini che in quella testuale, esibendo abilità nel video editing superiori di anni luce rispetto ai propri genitori. Ascoltandoli parlare dei loro argomenti (sentimenti, tecnologia e musica) si scopre in realtà che hanno un vocabolario amplissimo.
Tuttavia, come collettività (includendo tutte le generazioni) stiamo perdendo dimestichezza con il nostro patrimonio culturale. Più a rischio, per la sociolinguista, sono i millenial (18-34 anni) che hanno un lessico molto rarefatto nei campi prediletti dagli adulti, come ad esempio, la politica. I ragazzi tendono ad emanciparsi dai genitori e dai maestri, i cosiddetti “dinosauri”, attraverso nuove forme comunicative. Un meccanismo evolutivo sempre presente nella società umana, che in questa stagione di rivoluzioni tecniche e antropologiche ha assunto dimensioni impreviste, anche tra le persone mature. Non è un caso infatti che gli over 50 scrivano su Facebook in modo infantile. La sensazione è che non sia davvero un’operazione di scrittura, ma che più di altro conti farsi capire. Con l’avvento dei social network chiunque ha un megafono in mano.
Questo per quanto riguarda la scrittura, ma l’impatto sulla lettura e sull’approfondimento delle notizie non è meno significativo. La Gheno riporta un dato tratto dalle rilevazioni Istat 2019: “Una famiglia su dieci non ha libri in casa. Quando sputiamo sui giovani dobbiamo ricordarci che siamo noi ad avergli fornito un certo modello di società”. Alcune ricerche recenti hanno evidenziato alcuni tratti di questo fenomeno.
Dalla ricerca Social Clicks: What and Who Gets Read on Twitter?, condotta da studiosi informatici francesi e americani, è emerso che il 59% dei link di articoli condivisi sui social media non vengono cliccati: in altre parole, chi rilancia le notizie lo fa solo sulla base dei titoli, senza leggerle. Un comportamento tipico del consumo moderno dell’informazione, secondo la ricerca: la gente si forma un’opinione in base a un riassunto, o meglio ancora in base a un riassunto di un riassunto. Dopotutto, lo scrittore Daniel Pennac sostiene che i lettori hanno il diritto di saltare le pagine di un libro. Ma perché allora non leggere solo i titoli dei giornali? I social network e gli stessi stili di vita moderni portano giovani e anziani a considerare l’attenzione sempre di più una merce rara. Così capita che il 70% degli utenti Facebook legga solo i titoli delle notizie scientifiche prima di commentarle. È quanto è emerso da un esperimento condotto dal sito di notizie satirico “The Science Post” – Study: 70% of Facebook users only read the headline of science stories before commenting – che ha pubblicato un articolo composto da interi paragrafi di «lorem ipsum» (testo segnaposto, puramente riempitivo, utilizzato da grafici, designer, programmatori e tipografi) con un titolo che catturava l’attenzione tanto da essere condiviso decine di migliaia di volte. A quanto pare decine di migliaia di persone non se ne sono accorte!
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