A quasi sei mesi esatti dall’inizio delle grandi manifestazioni di protesta, l’economia di Hong Kong vacilla. Colpita duramente dalla violenza degli ultimi eventi, il turismo è – per ovvii motivi – ormai in forte calo, chiudono ristoranti, alberghi e attività commerciali.
Samson Tse, professore nel dipartimento di Assistenza Sociale dell’Università di Hong Kong, afferma che le statistiche del governo sulla povertà offrono un quadro solo parziale del fenomeno dei “nuovi poveri”. «La definizione data dal governo della soglia di povertà non descrive l’intero problema o la piena complessità delle difficoltà che queste persone affrontano – ha detto -. Il povero farà sempre più fatica a rimanere a galla durante questi periodi di estrema contrazione economica. Non c’è rete di sicurezza, non ci sono ammortizzatori sociali che bastino».
Eppure stiamo parlando della metropoli considerata la Montecarlo dell’Asia, in cui l’affitto di un miniappartamento in centro può costare molte decine di migliaia di euro al mese. È la città dove, ancora oggi, si immatricolano più Ferrari, Rolls Royce e Mercedes che nel resto del mondo. Ma le proteste degli ultimi mesi hanno prodotto un popolo di dimenticati, per lo più anziani e poveri che per sopravvivere devono continuare a lavorare e non riescono a curarsi.
Emblematica la testimonianza di Eugene Chan, ex candidato del consiglio distrettuale di Shau Kei Wan, che ha raccontato le difficoltà che incontrano i circa 30.000 anziani della sua zona per recarsi al vicino Pamela Nethersole Eastern Hospital: «Il livello di povertà qui è significativo», ha affermato Chan, aggiungendo che la maggior parte dei residenti anziani nell’area guadagna meno del reddito medio della città e, per il pagamento delle spese mediche, si affida all’assistenza sanitaria finanziata dal sussidio governativo: il cosiddetto “Voucher Scheme”.
E non ci sono solo gli anziani che non possono curarsi, ci sono anche quelli che faticano a spostarsi per lavoro dai distretti popolari dove vivono fino in centro e spesso non se lo possono permettere. Molti di loro sono persino troppo spaventati per uscire di casa. Quelle che seguono sono solo alcune storie di disperazione raccolte da interviste su testate on line. Mak Hon Kau, giardiniera di 68 anni, ha continuato a svolgere ogni giorno il suo lavoro. È una lavoratrice a contratto: vuol dire che ogni giorno può essere spostata in un luogo diverso e “a rischio scontri”, ma non si può permettere di rinunciare perché ha bisogno di soldi e, se perde il lavoro, alla sua età non potrà trovarne facilmente un altro. Guadagna circa 6.000 dollari di Hong Kong (poco più di 650 euro) al mese. Uno stipendio che supera di poco la soglia di povertà assoluta che, ad Hong Kong, è di 4.000 dollari (circa 500 euro) a famiglia.
C’è poi la signora Lee, un’ex lavapiatti di circa 60 anni, arrivata qui 20 anni fa dal Guangdong. Lei e suo figlio, ormai adulto, fanno fatica a pagare l’affitto mensile pari a 200 euro. È disoccupata ma se qualcuno le offrisse un posto, dice piangendo, lo prenderebbe al volo. Suo figlio è stato licenziato dal ristorante di dim sum dove lavorava come sguattero perché gli affari andavano male. Lee vive ormai solo dei suoi risparmi e con i pochi aiuti pubblici che le vengono dati. Dopo aver pagato l’affitto, le restano poco più di 100 euro per vivere tutto il mese: una sfida impossibile in una città cara come Hong Kong.
Ci sono posti, come il ristorante “Ho Win Roasted Meat”, dove tre volte a settimana si distribuiscono scatole per il pranzo gratuite e qui si possono trovare file di anziani come la settantenne Lo, che arriva anche con 3 ore di anticipo rispetto all’apertura per assicurarsi di ricevere almeno una scatola da dividere in due e rivenderne una parte per circa tre euro. Col rimanente, dovrà nutrirsi per due giorni. «Certo, la mia vita è stata influenzata dalle proteste», dice Lo, che vorrebbe lasciare il suo monolocale nella vicina Chai Wan, spesso interessata dai violenti scontri tra polizia e manifestanti. «Il gas lacrimogeno mi fa stare male e i giovani si feriscono», dice, mentre sembra più preoccupata per loro che per se stessa.
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